D’ora in poi la pillola abortiva potrà essere somministrata anche in ambulatorio: questa la direttiva contenuta nella delibera della giunta della Regione Toscana che sarà approvata lunedì prossimo. La Toscana, infatti, è la prima regione italiana a stabilire l’assunzione della Ru486 al di fuori del day hospital.
Una decisione che non è stata ben accolta da tutti, nonostante l’esultanza dei partiti di sinistra. Infatti, Serena Spinelli, membro della commissione Sanità e politiche sociali della Regione Toscana, si è detta soddisfatta della decisione della Giunta Regionale «che amplia la possibilità di utilizzo della pillola per l’interruzione di gravidanza, rendendone possibile l’assunzione anche in strutture territoriali dotate dei requisiti previsti», ma ciò non ha incontrato alcun favore da parte della Chiesa e degli esponenti del centrodestra.
Il motivo è presto detto e ne abbiamo parlato altre volte: innanzitutto il farmaco ha un effetto «antinidatorio», impedisce cioè l’annidamento nell’utero dell’embrione già eventualmente formato, è inevitabile, dunque, che renda impossibile il suo sviluppo e ne causi la morte. E tutto questo può essere espresso con una parola sola, ovvero “aborto”. Ma in più l’aborto farmacologico, che potrebbe sembrare una “passeggiata”, dato che si presenta l’assunzione della pillola abortiva come se si trattasse di una caramella innocua, porta con sé l’aggravante di una vera e propria banalizzazione di un’esperienza che rappresenta comunque un trauma sia fisico che psichico nella donna.
Non si insiste, infatti, abbastanza sui problemi di salute che l’assunzione della pillola abortiva causa nella donna che di fatto, viene lasciata da sola a gestire tutte le conseguenze del suo gesto, dopo appena qualche ora di assistenza ambulatoriale, nel migliore dei casi e dimessa come se avesse eseguito una banale operazione di routine.
Insomma, grazie a questa decisione della Regione Toscana, la donna verrà lasciata ancora più sola con la sua sofferenza fisica e psichica, costringendola a subire la banalizzazione di un’esperienza traumatica che invece andrebbe rielaborata adeguatamente e, anche e, soprattutto, con ogni mezzo, prevenuta ed evitata