I consiglieri della città di Basilea, così come i rappresentanti del Consiglio nazionale del Cantone, hanno chiesto al Consiglio federale di mettere al bando la “terapia riparativa” e limitarne fortemente la sua pratica sul territorio della Confederazione Svizzera. Richiesta non accolta dal Governo Federale.
Nonostante la terapia di conversione gay sia pesantemente criticata dai gruppi di difesa e messa al bando in alcune parti del mondo, l'organizzazione LGBTIQ “Pink Cross Svizzera” ha promosso con i parlamentari di Basilea un bando totale. Il Consiglio federale ha tuttavia dichiarato di opporsi a un eventuale divieto, sostenendo che le leggi attuali sono sufficienti per proteggere le persone da tutti i tipi di terapie alternative che essi stessi non desiderano. La Svizzera ha così riaffermato la libertà di scelta del paziente e, allo stesso modo, rispettato la scienza medica.
Lucas Ott, un rappresentante della città di Basilea, nei giorni scorsi dichiarava al quotidiano “BZ Basel” tutto il suo impegno per vietare la terapia di conversione e la sua volontà ad «inviare un messaggio importante in tutto il Paese» e a molti paesi del mondo. Una battaglia simbolica, nulla a che vedere con la sofferenza dei gay o con la scienza.
La terapia di conversione gay è stata utilizzata da gruppi ecclesiali e altre organizzazioni per incoraggiare le persone omosessuali che lo desiderano di "ri-convertirsi" all'eterosessualità.
I suoi oppositori descrivono questa pratica come una “cura” dell’essere gay, ridicolizzando così le sofferenze delle persone e la solidità scientifica ed i successi del percorso di riconversione.
Le pressioni internazionali della comunità LGBTI per bandire totalmente e globalmente la terapia psicologica di conversione delle persone gay, in nessun caso al mondo obbligatoria, si stanno facendo sempre più forti in Europa. Per esempio il Ministro della Salute tedesco, nelle scorse settimane, ha annunciato di voler introdurre un bando totale della pratica in Germania.
Roman Heggli, portavoce della Pink Cross Svizzera, a nome dell’organizzazione pro gay, è rimasto «scioccato dal fatto che il Consiglio federale non vede ancora la necessità di agire» e bandire la terapia ripartiva nel Paese.
Auguriamoci che il buon senso e il rispetto per diritti di genitori, ragazzi e scienza non vengano meno all’interno degli organi politici svizzeri.
di Luca Volontè