Non per tutte le donne la gravidanza è un impedimento alla carriera o un intoppo ad altri progetti di vita. Molte donne, infatti, accolgono la maternità per quel che è realmente, ovvero un dono, così come testimonia la scrittrice Maria Marzolla, con il suo libro “Due occhi in più. L'attesa di un figlio. La nascita di due genitori”. Un racconto che unisce, appunto, genitorialità e gravidanza in attesa del primogenito.
Maria, partiamo dal titolo “…la nascita di due genitori”. Genitori si nasce o si diventa?
«In realtà parte tutto da un pensiero: ogni volta durante le gravidanze ho pensato che nonostante mio figlio sia frutto di due genitori, i suoi occhi vedranno il mondo interpretandolo in un altro modo. Quindi non solo geneticamente siamo differenti, ma abbiamo anche uno sguardo diverso gli uni dagli altri. Questo presuppone il fatto che genitori non si nasce ma si diventa, nel senso che è un percorso di crescita che effettivamente inizia nel momento in cui ci sia apre alla vita. Io credo che il percorso vero inizi nel momento in cui scopri che stai portando la vita e quindi è da lì che diventi responsabile. Infatti la mia routine, ad esempio, da quel momento, è cambiata in maniera radicale perché io ero di continuo in movimento, facevo una vita velocissima, mentre la mia prima figlia, quando ero incinta, mi ha costretta a letto per i primi tre mesi. Questo ha fatto prevalere in me l’aspetto della genitorialità: la responsabilità verso la vita che portavo nel grembo».
Com’è nata l’idea di questo libro?
«Io ho sempre amato scrivere, sono giornalista pubblicista. Sin da piccola avevo questo desiderio, però dalla gravidanza della mia primogenita, trascorsa forzatamente a letto, ho cominciato a mettere su un’agendina i miei pensieri. Ho concepito questo libro come un’eredità destinata ai miei figli, in cui racconto loro cosa hanno rappresentato per me. Poi, durante le altre gravidanze ho continuato a fare questo, solo in seguito ho pensato di racchiudere tutto in un libro, grazie anche all’incoraggiamento dello scrittore Robert Cheaib. Così quando la mia piccolina aveva pochi mesi, mi alzavo alle 4, dopo l’ultima poppata, cominciavo a scrivere, in questo modo ho dato forma al libro».
In un’intervista online Lei ha detto che coloro che scelgono la vita e lottano per la propria famiglia sono dei “guerrieri”, in che senso?
«Perché oggi si fa di tutto per annientare la vita, sin dal primo istante e bisogna combattere per difenderla. Fare questo nella nostra società non è semplice perché questa lotta appare come il frutto di una mentalità antiquata, ma la vita non può passare di moda. Se noi stessi esistiamo è perché i nostri genitori hanno detto sì alla vita. La famiglia è la culla di tutto».
Ci racconti il rapporto tra il tuo ruolo di scrittrice e quello di madre?
«E’ una lotta! Lo dico scherzando: l’amore per la scrittura è un dono, ma il conciliarlo con l’essere madre non è molto semplice perché devi ritagliarti dei momenti tuoi e un tuo posto, così come racconto nell’altro libro a cui sto lavorando. Tuttavia io credo che sia importante non abbandonare mai i propri sogni, quell’angolino che ti permette di essere felice e ti permette di essere madre nel migliore dei modi. Io ho cercato di mantenere questo equilibrio svegliandomi alle 4 del mattino e dedicandomi alla scrittura fino alle 6. Per me non è un sacrificio ma è il mio momento di sprint».
A questa sua prima esperienza letteraria ne seguirà una seconda…
«Sì. A breve uscirà il mio prossimo libro in cui mi sono concentrata sulla bellezza della quotidianità, su quanto nelle sue trame ci sia la vera bellezza. Possiamo scorgerla in famiglia e nelle persone e situazioni a noi più vicine. Penso che possa essere un messaggio di incoraggiamento per tutti noi e per tutte le famiglie, piuttosto martoriate in questo periodo di emergenza sanitaria e didattica a distanza».