È risaputo che il principale target dell’ideologia gender sono le nuove generazioni e nei minori. Questa operazione di indottrinamento, però, risulterebbe scarsamente efficace se non riuscisse a far presa sui due principali soggetti educativi: la famiglia e la scuola. Per rimediare alla “lacuna”, la Regione Lazio ha prontamente predisposto delle linee guida indirizzate alle scuole sul tema Strategie di intervento e promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere.
Il protocollo è stato emanato dall’azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini e dalla Regione, in collaborazione con l’associazione Genderlens e Agedo, che raggruppa genitori di bambini e adolescenti con varianza di genere. Il documento non vuole limitarsi a fare pura accademia. Già il prossimo 9 settembre, infatti, in prossimità dell’inizio dell’anno scolastico, è previsto un webinar sul tema Le diverse sfumature dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, indirizzato al personale degli istituti scolastici di ogni ordine e grado della Regione. Il corso «si propone l’obiettivo di fornire agli operatori che lavorano in ambito scolastico informazioni che permettano di ottenere un quadro ampio e, quanto più chiaro possibile, relativo alle problematiche connesse alle tematiche dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere».
Le linee guida, invece, consistono in un documento di dieci pagine: un vero e proprio manifesto ideologico, argutamente costellato di terminologie mediche e psicologiche e di argomentazioni pseudo-scientifiche. In primo luogo, si dà per scontato il superamento del concetto di «binarismo sessuale», come ineluttabile fenomeno generazionale. Nel manifestare la loro «identità di genere», molti giovani «abbracciano delle modalità più fluide di fare esperienza di sé stessi». La difficoltà di questi adolescenti a «riconoscersi in una definizione binaria, ritenuta semplicistica e limitante», solleciterebbe quindi gli «attori della comunità educante» a «rispondere in modo sempre più adeguato e consono alla complessità».
È proprio nello sposare convintamente i principi dell’«identità di genere» e della «varianza di genere», che il documento della Regione Lazio e del San Camillo-Forlanini aderisce ad una chiara linea politica che non ha nulla a che vedere con il dibattito scientifico. Per «identità di genere» viene intesa «la sensazione profonda e precoce (si sviluppa già intorno ai 3 anni di età) di appartenere al genere maschile, femminile, entrambi o nessuno dei due». Quanto, invece, alla «varianza di genere», il documento tranquillizza subito i genitori: non si tratta di un «errore nel modo di crescere il proprio figlio» o della conseguenza di una «educazione eccessivamente permissiva, e solo raramente è associata a un evento traumatico». Pertanto, i comportamenti «varianti» di questi bambini e ragazzi andrebbero considerati «semplicemente come la naturale espressione della variabilità umana» ed accolti «come una risorsa e non come un problema». Lungi dal descrivere in modo approfondito una dinamica psicologica del fenomeno, se ne da’ subito una valutazione e il giudizio, in questo caso, è positivo.
Le linee guida ammettono, sulla scorta della letteratura scientifica disponibile, che gli adolescenti transgender soffrono maggiori «difficoltà psicologiche», come «ansia», «depressione», «ritiro sociale» e «isolamento». Tutti questi disagi, però, sono ritenuti ascrivibili «principalmente a fattori sociali», come «lo stigma, la transfobia, i pregiudizi, le discriminazioni». Per colpa del «rifiuto da parte della famiglia e dei pari pressioni culturali a “normalizzarsi”» e ad «aderire ad una struttura patriarcale ed eteronormativa», gli adolescenti transgender sperimenterebbero un «benessere psicologico» che è «inversamente correlato all’intensità dell’intolleranza sociale percepita». Anche per questo, secondo gli estensori delle linee guida, «diventa prioritario ed indispensabile accogliere e riconoscere il loro vissuto, mettendo in atto strategie inclusive e di prevenzione di discriminazione omotransfobica e di atti di bullismo».
Nei paragrafi successivi il documento entra nel merito delle prassi educative da adottare nei confronti degli adolescenti nel «contesto scolastico». L’obiettivo principale? Innanzitutto, rimuovere quelle «forme di pensiero stereotipico sull’omosessualità e in generale sulla variabilità di genere» che «sviluppano omofobia e transfobia sociale». Per colpa del «bullismo omo/tranfobico», tantissimi adolescenti con «varianza di genere» risulterebbero particolarmente vulnerabili all’abbandono scolastico.
Tra le «buone pratiche» utili a contrastare l’omofobia scolastica, le linee guida suggeriscono cinque punti essenziali: 1) Una «formazione» riservata al «personale scolastico» e «agli studenti» volta ovviamente a «smantellare i miti, gli stereotipi e i pregiudizi sulle persone transgender»; 2) Una «modulistica» che rifletta un «linguaggio di genere inclusivo», modificando quindi i documenti in modo che «gli studenti con varianza di genere» possano «identificarsi in modo coerente con la loro identità di genere»; 3) Attivazione della «carriera alias» (esperimento già portato avanti in alcune università italiane) consistente «in una modifica della carriera reale dello studente o della studentessa mediante l’assegnazione di un’identità provvisoria, transitoria e non consolidabile»; 4) «Uso del nome e dei pronomi scelti» in modo che lo studente possa «sentirsi riconosciuto nella propria identità di genere»; 5) «Uso dei bagni e degli spogliatoi» in modo che gli studenti transgender possano usufruire di un servizio «non connotato per genere», quale potrebbe essere, ad esempio, «il bagno dei professori adatto al minore con varianza di genere».
Come approccio generale, viene suggerito – tra le altre cose – di «permettere a tutti i giovani di esprimere la propria identità di genere attraverso le loro scelte di vestiti, acconciature e accessori» e di «fidarsi del fatto che la decisione di presentarsi in un genere diverso da quello assegnato alla nascita di un adolescente non è stata presa con leggerezza o senza le dovute considerazioni». In particolare, quest’ultima raccomandazione appare significativa, in quanto ridimensiona fortemente il ruolo educativo degli insegnanti, umiliandone lo spirito critico e di osservazione, e limitandoli a un mero ascolto passivo delle inclinazioni sessuali degli allievi.
Alla luce di tale ambizioso programma, è facile comprendere che non sarà necessario attendere la legge Zan. L’indottrinamento gender è già tra noi e i nostri ragazzi sono già stati “attenzionati”. Plasmare le menti di genitori e insegnanti sarà il passaggio fondamentale utile a prevenire ogni forma di dissenso e ad istituire un nuovo “stato etico arcobaleno”.