L’aborto? È una questione della donna, solo della donna. Questo vuole un tormentone del femminismo sopravvissuto dal ’68 fino ai giorni nostri; e che dimentica non solo la vera vittima della pratica abortiva – il figlio concepito -, ma pure l’altro grande escluso, vale a dire l’uomo. E pensare che esistono almeno due ottime ragioni per cui anche la figura maschile andrebbe assolutamente considerata, quando si parla di aborto. La prima, molto elementare ma anche assai tralasciata, è che là dove c’è una gravidanza, evidentemente, c’è sempre anche un padre.
In secondo luogo, si dovrebbe parlare dell’uomo quando ci si occupa della soppressione prenatale dal momento che di tale pratica, di fatto, fa le spese anche lui. Proprio così: l’aborto fa male non solo alla gestante, ma anche al suo compagno, fidanzato o marito. Ad attestarlo è un nuovo studio, intitolato National Men's Abortion Study, commissionato e pubblicato da Support After Abortion, una organizzazione con sede in Florida. Si tratta di una indagine rilevante non solo perché tocca un ambito spesso ignorato – quello della sofferenza maschile per la perdita d’un figlio -, ma perché lo rileva in modo netto e sostanziale.
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Per capirci, è stato scoperto come il 71% degli uomini interpellati abbia riportato «cambiamenti negativi» nella sua esistenza dopo l'esperienza abortiva. Colpisce che in questa percentuale ci fossero sia uomini su posizioni pro choice (31%) sia pro life (40%), a sottolineare che ciò che lascia l’eliminazione prima della nascita non dipende da posizioni politiche e ideologiche. Si tratta di una sofferenza profonda, che non conosce appartenenze né bandiere. È connaturata all’essere uomini, anzi per l’esattezza padri.
Si allinea a tale considerazione anche il fatto, rilevato sempre nella ricerca in questione, secondo cui la stragrande maggioranza di uomini che hanno perso un figlio a causa dell’aborto – l’83% - «ha cercato aiuto o ha affermato che avrebbe potuto beneficiare di un sostegno», anche se non era ideologicamente contrario all'aborto. L’aiuto cercato riguardava la necessità di colmare ciò che questi uomini provano, vale a dire «tristezza, senso di colpa, rimpianto». Per questo lo studio ha concluso che sono necessarie più opzioni - sia religiose (richieste dal 40% degli interpellati) sia laiche (richieste dal 49%) - per aiutare gli uomini ad affrontare il dolore post-aborto.
Va detto che, per quanto significativa, questa indagine non è la prima né la unica, anzi. Già nel lontano 1983 una indagine aveva rilevato conseguenze psicologiche gravi associate, nell’uomo, alla paternità perduta a causa dell’aborto. In seguito sono state effettuate molte altre indagini e – anche se c’è chi nega che esista una sindrome post aborto per l’uomo – lo scorso anno, su Psychology Today, Mary C. Lamia, psicologa e psicanalista docente al Wright Institute di Berkeley, in California, ha firmato un interessante articolo dove afferma che la ricerca «ha dimostrato che l'esperienza del dolore intenso per la perdita di un figlio e della paternità» si registra «anche dopo molti anni dopo l'aborto»
Significativa, a tale proposito, risulta infine una straziante testimonianza raccolta dai volontari del numero verde dell'Associazione di Don Benzi di un padre che, a distanza di oltre 6 anni dall’aborto del figlio, aveva ancora una grande ferita nel cuore. Ecco le sue parole, più efficaci di ogni statistica o di ogni indagine: «È stata per me una situazione molto pesante […] In questa situazione di tremenda solitudine e dolore ho deciso che mai avrei permesso a me stesso di rivivere una situazione simile. Ero anche molto confuso, nella mia vita non avevo mai ho provato un dolore così grande». Davanti a tutto ciò un dubbio sorge spontaneo: come si può seriamente sostenere che l’aborto sia solo una questione della donna?