08/02/2013

L’aborto è sempre stato ritenuto un omicidio

Ippocrate, il famoso medico greco vissuto nel V secolo a.C. e che giustamente è ritenuto il padre della medicina, con solenne giuramento prese l’impegno di non somministrare mai a una donna una medicina per uccidere il feto. Anche se le donne nel corso della storia hanno ritenuto legittimo procurare l’aborto, il giuramento di Ippocrate è stato considerato fino ai nostri giorni come un precetto inviolabile da tutti i medici. Quando poi il cristianesimo cercò di rendere i comportamenti morali più umani, i maestri di vita cristiana presero a disapprovare duramente tutti coloro che anticamente praticavano l’aborto. Tra costoro emerge Q. Settimio Tertulliano, notevole scrittore africano del II secolo d. C., che nel suo Apologeticum condannò aspramente con un’argomentazione solida ed inoppugnabile il delitto d’aborto. Egli affermò: «Impedire la nascita significa accelerare l’omicidio: non fa nessuna differenza se si sopprime un’anima già nata o si distrugge un’anima che sta nascendo. Chi sta per “essere” è già uomo, come il frutto è già nel seme». Tuttavia gli uomini contemporanei, con il sostegno della legislazione, ritengono legittima la soppressione dei figli nell’utero materno. Nel praticare questo delitto scellerato, non solo dimenticano l’imperativo morale cristiano, ma minimizzano anche le esigenze della retta ragione. Chi infatti potrebbe mettere in dubbio che l’aborto sia un orribile atto immorale in quanto, proprio mentre si forma nell’utero, un innocente, privo di difesa, viene privato della vita e senza alcuna pietà viene ammazzato? L’insegnamento impartito dal saggio Ippocrate quasi 2500 anni fa è confermato dalla testimonianza dei santi. A tal proposito vanno ricordate le parole che la beata Teresa di Calcutta solitamente affermava: «L’aborto deve essere considerato alla stregua della causa più grande che estingue la pace perché, se ad una madre è consentito uccidere la propria prole, non c’è più motivo che impedisca ad un uomo di uccidere un altro uomo».

Fonte: L’Avvenire

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