Via il sesso biologico dai certificati di nascita, perché potrebbe essere discriminatorio. Ad avanzare tale richiesta, quanto meno singolare, non è – come si potrebbe aspettare – qualche associazione Lgbt né qualche attivista arcobaleno un po’ esaltato, bensì la American Medical Association (Ama) che, con i suoi quasi 175 anni di storia ed oltre 240.000 iscritti, è la più grande associazione di medici e studenti di medicina degli Stati Uniti.
Proposti così: nel proprio Board Report 15, risalente a giugno, l’Ama ha affermato chiaramente che essa «sostiene la rimozione del sesso come designazione legale sulla parte pubblica del certificato di nascita e che sia visibile solo per uso medico e statistico». Tale sostegno non è causale come si legge, sempre nello stesso documento in un passaggio a firma del dottor Willie Underwood III, a proposito della politica dell’Ama che «riconosce che ogni individuo ha il diritto di determinare la propria identità di genere e la designazione del sesso sui documenti del governo».
Queste ultime parole suonano rilevanti perché spiegano bene il motivo dell’ostilità della celebre associazione medica Usa al senso biologico, e cioè un appoggio all’ideologia gender. Ideologia che, non paga dell’occupazione quasi militare esercitato ormai da anni sui media, si sta ora rafforzando anche in seno alle istituzioni scientifiche. Rispetto a ciò, naturalmente, la presa di posizione dell’American Medical Association non costituisce certo un caso isolato.
Basti pensare alla interessante indagine su ciò che accade nelle facoltà di medicina Usa svolta in questi giorni dalla giornalista e scrittrice Katie Herzog. Il quadro che ne esce è sconfortante, dato che vi sono docenti che ormai si scusano per aver parlato di «donne in gravidanza»; membri di facoltà che mandano email con scuse preventive ai gruppi Lgbt; insegnanti che consultano questi ultimi prima delle lezioni. Ma torniamo ora all’Ama e alla guerra al sesso biologico, che non è solo riconducibile ad una adesione generale al pensiero gender bensì pure ad una visione – ed evoluzione - particolare che ha quest’ultimo.
A sottolineare tale aspetto con precisione è stato Frank Furedi, sociologo dell'Università del Kent il quale ha osservato come, se dapprima l’idea era che il sesso biologico fosse una realtà biologica e il genere una costruzione sociale, ora quella che si sta facendo largo è la convinzione che il genere sia un destino e il sesso biologico una mera costruzione. Naturalmente, quest’ultima convinzione è puramente ideologica dal momento che il sesso biologico non poggia su idee o valori ma su basi genetiche, ormonali ed endocrinologiche, profili cioè che solo l’ideologia più estrema, appunto, può portare a negare.
Motivo per cui risulta doppiamente grave che realtà che raggruppano centinaia di migliaia di professionisti della salute – e della scienza, come l’American Medical Association – vadano sempre più ad accodarsi ad una antropologia che, oltre ad essere fortemente politicizzata, è la negazione stessa della conoscenza scientifica. Sì, perché sono proprio fior di evidenze scientifiche a dirci che il sesso biologico di cui l’Ama «sostiene la rimozione» non è affatto un dato marginale, tutt’altro.
Disponiamo infatti di molteplici evidenze del dimorfismo comportamentale tra i bambini – nel comportamento, nella preferenze dei giocattoli e nello stesso stile di gioco – già nei primi anni, addirittura nei primi mesi di vita, ossia in quelle fasi in cui gli stereotipi di genere non possono per ovvie ragioni aver modellato né condizionato alcuno. Eppure la natura maschile e quella femminile già si manifestano in modo chiaramente distino, a riprova che una differenza biologica tra i sessi esiste e pesa sin dalla prima infanzia: si può ancora dire oppure anche tutto ciò, a breve, diverrà un’evidenza impiegabile «solo per uso medico e statistico»?