E’ ormai considerato un punto di arrivo ineludibile. Dopo lo sdoganamento culturale, politico e giuridico dell’omosessualità, ora tocca alla pedofilia. Diversi sono, purtroppo, i segnali che da tempo fanno apparire sempre più verosimile questo scenario agghiacciante.
Certo non aiuta la notizia della recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione: con essa è stata sollecitata l’applicazione dell’attenuante del «caso di minore gravità» di cui all’art. 609-quater, quinto comma, del Codice Penale, per un’ipotesi di plurimi rapporti sessuali completi tra un sessantenne ed una bimba di undici anni, sulla considerazione che tra autore del reato e vittima vi era un “rapporto amoroso”, e che la vittima era innamorata dell’adulto. Il punto è che tale pronuncia, inaccettabile sotto il profilo giuridico, ammettendo la possibilità di una relazione amorosa tra un uomo di sessant’anni ed una undicenne, rischia di offrire il destro a quella preoccupante deriva ideologica che tende a fare riconoscere la pedofilia non quale grave e depravata patologia, ma come semplice orientamento sessuale.
L’esperienza insegna che i provvedimenti giudiziari in questa delicata materia rischiano di destabilizzare l’opinione pubblica se non sono adeguatamente soppesati e valutati, come è accaduto lo scorso 2 aprile 2013 con la sentenza della Corte d’Appello olandese di Arnhem-Leeuwarden, la quale, in riforma della decisione di primo grado, ha stabilito di non doversi disporre lo scioglimento del gruppo di ispirazione pedofila Stitching Martijn, che propone la liberalizzazione dei contatti sessuali tra adulti e minori. Tra l’altro, contro quella discussa sentenza fu lanciata l’iniziativa di una petizione popolare alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Non sono incoraggianti i segnali che giungono da alcuni Paesi europei ove è in atto un dibattito sull’abbassamento dell’età minima per il consenso sessuale, come dimostra, ad esempio, il caso discusso nel Regno Unito a seguito della proposta avanzata da Barbara Hewson, avvocato inglese nota per le sue battaglie per i diritti civili, di portare il limite di tale consenso a 13 anni.
Non appaiono neppure incoraggianti i segnali che giungono da Oltreoceano. Anzi, possiamo definire inquietante, ad esempio, il fatto che l’American Psychiatric Association (APA) lo scorso 30 novembre 2013 abbia dovuto rettificare ufficialmente quanto scritto nell’ultima versione del Dsm-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) pubblicata quest’anno, in cui la pedofilia era stata declassata da “disordine” ad «orientamento sessuale» (dieci anni fa nel Dsm-4 era già stata derubricata da «malattia» a «disordine»).
L’Apa, comunque, distingue tra pedofilia e atto pedofilo, nel senso che considera il desiderio sessuale nei confronti dei minori un orientamento come gli altri, mentre ritiene l’atto sessuale “disordinato” solo per gli eventuali effetti negativi che può determinare nei confronti degli stessi minori. E’ una distinzione assai pericolosa che ricorda da vicino il ragionamento surrettizio che ha portato allo sdoganamento dell’omosessualità. Né si può dimenticare il controverso studio intitolato, A Meta-Analytic Examination of Assumed Properties of Child Sexual Abuse Using College Samples pubblicato nel luglio del 1998 sul prestigioso Psyichological Bulletin della stessa APA, e redatto dal Dr. Bruce Rind del Dipartimento di Psicologia della Temple University, dal Dr. Philip Tromovich della Graduate School of Education presso la University of Pennsylvania, e dal Dr. Robert Bauserman del Dipartimento di Psicologia della University of Michigan.
In quello studio si è ridefinito il concetto di «abuso sessuale sui minori», partendo dalla considerazione che «le classificazioni scientifiche dei comportamenti sessuali devono prescindere da criteri di ordine legale e morale», e definendo come «alquanto modeste» le conseguenze derivanti dagli abusi sessuali subiti da minori di ambo i sessi, ritenute comunque «non produttive di conseguenze negative di lunga durata». Secondo i tre accademici, infine, «Il sesso consensuale tra bambini e adulti, e tra adolescenti e bambini, dovrebbe venire descritto in termini più positivi, come “sesso adulto-minore” (adult-minor sex)».
Il fatto è che in tema di pedofilia l’APA tende a spostare l’asticella rossa sempre più in là, come dimostra l’ultima omerica gaffe sul Dsm-5.
Ancora più inquietante è il dibattito che si è svolto lo scorso 14 febbraio presso la Queen’s University tra il Dr. Vernon Quinsey, professore emerito di psicologia della medesima università e il Dr. Hubert Van Gijseghem, ex professore di psicologia presso l’Università di Montreal, in cui si è “scientificamente” sostenuto di come la pedofilia debba essere considerata un orientamento sessuale paragonabile all’eterosessualità e all’omosessualità. Roberto Marchesini nel suo ottimo articolo Pedofilia “variante naturale della sessualità umana”?, pubblicato su Libertà e Persona, dà un esauriente resoconto dell’audizione dei due cattedratici. Secondo Marchesini lo scenario appare segnato: «L’OMS finirà per dichiarare che la pedofilia è una “variante naturale della sessualità umana”», e il «Ministero per le pari opportunità farà delle campagne per combattere la “pedofobia”, mentre nei corsi di educazione sessuale si insegneranno le tecniche con le quali i bambini possono soddisfare sessualmente degli adulti».
Poiché non intendono assistere passivamente a questo epilogo da incubo, i Giuristi per la Vita hanno lanciato un appello «a tutte le competenti Istituzioni Pubbliche affinché non vengano introdotte nell’ordinamento giuridico disposizioni normative tali da attenuare la gravità sociale dell’odioso fenomeno della pedofilia, né vengano adottati provvedimenti giurisdizionali che possano apparire non rigorosamente severi nei confronti del predetto fenomeno». E si sono dichiarati disposti ad «opporsi in ogni sede e con ogni mezzo, a qualunque tentativo di legittimare, per via legislativa o giudiziaria, ogni forma o espressione riconducibile l’abominevole fenomeno della pedofilia».