«La diversità è ricchezza». Così recita, rivelandosi però un inno all’ipocrisia, la nuova copertina del settimanale L’Espresso, che presenta l’icona di una mamma transgender, ossia una femmina «diventata maschio» - come attesta la presenza della barba - ma incinta. Una copertina che, beninteso, appare estremamente istruttiva e, anzi, andrebbe conservata. Per almeno due motivi. Anzitutto perché sintetizza in modo mirabile le istanze del pensiero dominante rispetto all’annullamento delle differenze tra i sessi (con pure la paradossale esaltazione della «diversità»), alla messa al bando di padre e madre e, infine, all’esaltazione dell’idea – le cui aberranti conseguenze si sono già ben viste nel ‘900 – secondo cui ogni opzione tecnicamente possibile è eticamente accettabile.
In secondo luogo, la nuova copertina de L’Espresso è istruttiva perché mette finalmente in luce quale sia il fine ultimo del ddl Zan, ossia quello non già di veicolare nuovi diritti, bensì una nuova antropologia, che – in omaggio a desideri elevati neppure a diritti, ma a veri e propri dogmi – scardina ogni concetto di limite, sia esso etico o giuridico, perfino biologico. Dopo mesi passati a parlare di un presunto allarme omofobia – nei fatti inesistente – e di una presunta carenza di diritti delle persone di orientamento non eterosessuale, L’Espresso finalmente getta quindi la maschera; e, da questo punto di vista, merita un plauso se non altro anche per l’onestà intellettuale, che di questi tempi è davvero merce rara.
Ciò detto, non si può non guardare con preoccupazione alle nozze – queste sì di ferro – tra i mass media e la cultura Lgbt più estremista, sintetizzata anche in questa copertina-manifesto. In primo luogo perché, da questa alleanza, derivano non solo bizzarre concezioni dell’uomo, ma pure visioni che, secondo alcuni, dovrebbero essere insegnate nelle scuole «di ogni ordine e grado» (articolo 7, comma 2 del ddl Zan); e pensare che alcuni hanno pure il coraggio di negare che si tratti di indottrinamento. In effetti, è qualcosa di peggio: è violenza culturale nei confronti dei bambini. Violenza che non può essere in alcun modo tollerata.
In seconda battuta, la nuova antropologia veicolata dai media è preoccupante perché si abbatte come un tornado su un Occidente dove la famiglia e già in crisi e dove, da decenni, l’inverno demografico continua a mietere effetti che vanno sempre più aggravandosi. Di qui un dubbio: come potrà l’uomo contemporaneo risollevarsi se, oltre ad essere spogliato della sua fede religiosa a causa della secolarizzazione, viene pure privato della conoscenza di che cosa sia una famiglia e dell’esistenza di insuperabili differenze tra i sessi? Senza riferimenti, o con riferimenti sempre più sbiaditi, si è come ciechi che brancolano nel buio: di questo occorre essere consapevoli.
Per fortuna, va detto, non tutti però abboccano a simili e suicide operazioni propagandistiche. C’è infatti ancora un popolo libero – composto anche di personalità non credenti, di istanze progressiste e di tendenza omosessuale – che non si arrende alle derive e alle imposizioni della cultura dominante. Un popolo che ieri si è ritrovato in piazza Duomo a Milano, non solo per protestare contro il ddl bavaglio – alias il ddl Zan -, ma anche per esaltare la sola diversità che, a quanto pare, sembra oggi fare paura: quella di pensiero.