Sul podio delle assurdità che ha potuto partorire una parte del mondo contemporaneo, si trova sicuramente lo pseudo-concetto di “matrimonio omosessuale”. Pseudo-concetto, perché chi veramente avesse una idea chiara di cosa è il “matrimonio” prenderebbe subito consapevolezza dell’impossibilità di abbinarlo al concetto di “omosessuale”. Un concetto impossibile, come la quadratura del cerchio.
Prendiamo atto del fatto che oggi la cosa non è più così ovvia come dovrebbe essere. Anzi, forse nel prossimo futuro affermarlo pubblicamente diventerà una fatto meritevole di sanzione penale. Qualcuno ha detto che nel tempo dell’inganno universale, dire la verità diventa un atto rivoluzionario: facciamolo, allora, quest’atto rivoluzionario.
Il “matrimonio omosessuale” è impossibile e sbagliato per una serie di ragioni, che vanno dall’ordine individuale a quello sociale, che toccano la morale, il diritto, il benessere collettivo. Diamo in questo sede soltanto la prima di queste ragioni: il “matrimonio omosessuale” è anzitutto impossibile come “matrimonio”.
Il matrimonio, che già nella sua etimologia rimanda al concetto di “madre”, dice relazione alla generazione; apertura ai figli. Così come è impossibile pensare il concetto di “maternità” e “paternità” senza riferimento ai figli, così è impossibile pensare al matrimonio senza la sua attitudine strutturale alla generazione. Non è un caso che, non solo nell’ordinamento canonico, ma anche in quello civile, questo riferimento ai figli caratterizzi il matrimonio.
Nell’ordinamento italiano, basta ricordare l’art.147 c.c., inserito nel capo “Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio”, e che contiene i “doveri verso i figli” (obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole). Solo in quest’ottica possiamo capire perché lo Stato (qualsiasi Stato) riconosca pubblicamente tale unione, la inserisca in un regime particolare e attribuisca speciali diritti ai coniugi: perché nel caso del matrimonio l’unione stabile tra due persone ha una rilevanza sociale altissima, essenzialmente diversa da qualsiasi altra relazione di amicizia, di parentela o d’amore che potrebbe interessare due persone ma che resterebbe un fatto privato. La rilevanza sociale sta nel fatto di garantire la perpetuità delle generazioni, l’esistenza e il miglior sviluppo della vita di futuri uomini e donne (grazie anche alla sua “stabilità” pubblicamente garantita), e quindi l’esistenza stessa dello Stato nel tempo. Per questo lo Stato è come costretto a “riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (art.29 Cost).
Diritti che, del resto, stanno quasi a “bilanciare” i gravi doveri che i genitori hanno assunto pubblicamente e preventivamente rispetto ai figli (anche per questo riconoscere un “matrimonio” a certe categorie di persone, senza riferimento ai doveri verso i figli, sarebbe tecnicamente discriminatorio nei confronti di tutte le altre famiglie normali, che non hanno solo i diritti connessi al matrimonio ma anche i gravi doveri).
Questo riferimento essenziale alla famiglia, alla prole, mostra anche quanto sia, non solo strategicamente perdente, ma anche concettualmente inconsistente la posizione di chi è contrario alle “adozioni gay” o all’utero in affitto ma favorevole al riconoscimento di un “matrimonio omosessuale”, a “patto che non si tocchino i bambini”: in realtà, una volta riconosciuto il “matrimonio”, i bambini sono già stati chiamati in causa. Gli omosessuali (rectius: gli omosessualisti), dopo aver ottenuto il “matrimonio”, potranno logicamente rivendicare ciò a cui il matrimonio è intrinsecamente, culturalmente, storicamente e giuridicamente destinato: la famiglia. Solo che, in realtà, questa pretesa non è meno assurda della prima: l’unione omosessuale è l’antitesi stessa della famiglia. Ribadiamo una ovvietà: l’unione omosessuale è strutturalmente incapace di generare e quindi di essere fondamento della famiglia.
Da questo punto di vista, l’eventuale impossibilità a procreare in cui potrebbe trovarsi una coppia di sesso diverso è, appunto, solo “eventuale”, cioè accidentale (dipendente non dalla struttura stessa dell’unione ma da un ostacolo contingente e forse temporaneo) e non strutturale e essenziale come nella coppia dello stesso sesso. Non si può obiettare che oggi la tecnologia permetterebbe anche agli omosessuali di avere figli. Non è vero. Quella stessa dichiarazione lo dimostra: dire che “la tecnologia permette …” è ammettere che la coppia omosessuale non è “causa” del figlio, ma semmai lo è la tecnica, almeno come causa efficiente-dispositiva (in ultima analisi causa della generazione sono sempre un padre e una madre), che, fino ad ora, è costretta a prelevare il materiale genetico del sesso opposto per dare luogo a una fecondazione artificiale. C’è sempre un “padre” e una “madre” che, nei casi in cui si ricorre alla fecondazione eterologa, consentono che si spezzi quella relazione naturale tra generazione e doveri verso i figli.
Inoltre l’intervento della tecnica in questo campo (come abbiamo mostrato più volte su questo sito) crea un male morale, giuridico, e sociale più grande del “male” che si presume dovrebbe “risolvere” (l’incapacità degli omosessuali di generare): come minimo (nel caso di una coppia di lesbiche), la possibilità di avere un figlio “proprio” (di una delle donne) passa attraverso la fecondazione artificiale eterologa che, oltre a reificare il bambino (rendendolo “prodotto” di laboratorio) causa la morte di più del 90% degli esseri umani concepiti con quella tecnica. Nel caso di uomini gay che pretendessero avere un “figlio”, ai mali della fecondazione eterologa si aggiungono i mali dell’utero in affitto, di cui abbiamo spesso parlato. Dire che la tecnica “risolve” il problema della incapacità della coppia omosessuale a generare è quindi come dire che i Laogai cinesi (veri campi di concentramento) “risolvono” il problema di come produrre e fare profitto a basso costo; che la sterilizzazione forzata nei paesi del terzo mondo “risolve” il problema (peraltro illusorio) della sovrappopolazione; o infine che uccidere una persona ponga fine al rischio che si ammali ...
Ribadiamolo quindi: una coppia omosessuale non “genera” mai e già solo a questo titolo (è solo una delle ragioni, ma è la prima) è incompatibile con quella funzione sociale che è propria del matrimonio e che costituisce la ragione di speciali diritti e doveri riconosciuti dallo Stato.
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