20/05/2013

Le “pillole” in commercio: facciamo un po’ di chiarezza

Oggigiorno si sente molto spesso parlare di “pillole”: contraccettive, del giorno dopo, dei cinque giorni dopo, RU486… e la confusione per chi non ha competenze in campo medico rischia di diventare tanta.

Per cercare di chiarire alcuni concetti e sfatare taluni luoghi comuni, abbiamo interpellato la dottoressa Chiara Mantovani. Medico-chirurgo, la dottoressa Mantovani si è perfezionata in bioetica; è presidente di Scienza&Vita di Ferrara, nonché Membro dell’Esecutivo Nazionale, ed è componente del Direttivo Nazionale dell’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani).

Dottoressa Mantovani, per prima cosa potrebbe spiegarci la differenza che intercorre tra la contraccezione, l’intercezione e la controgestazione?

La contraccezione è tutto ciò che blocca chimicamente l’ovulazione, oppure ciò che meccanicamente impedisce l’incontro tra l’ovulo e gli spermatozoi.

L’intercezione, invece, non impedisce l’incontro tra ovulo e spermatozoi – quindi vi è la fecondazione e la formazione dell’embrione! -, bensì rende la mucosa uterina impossibilitata ad ospitare l’embrione ai suoi primi stadi di sviluppo, impedendone l’annidamento.

La controgestazione, infine, consente sia la fecondazione, sia l’annidamento, ma provoca lo sfaldamento della mucosa uterina e dunque la morte dell’embrione annidato: è un aspetto della modalità di azione, ad esempio, della RU486.

È dunque corretto affermare che la “pillola del giorno dopo” e la “pillola dei cinque giorni dopo” sono potenzialmente abortive, in base al fatto che vi sia stata o meno la fecondazione?

Certamente, è esatto.

Diciamo di più: la “pillola dei cinque giorni dopo” utilizza la stessa classe di sostanze chimiche proprie della RU486 e sta diventando un contraccettivo “comodo” perché la si può utilizzare esclusivamente quando se ne ha la necessità, e non comporta un’assunzione prolungata nel tempo.

Comunemente quando si parla di “pillola” si fa riferimento alle cosiddette “pillole contraccettive orali”. Qual è il loro meccanismo di funzionamento?

L’azione dell’estroprogestinico è essenzialmente quella di “bloccare” la funzionalità dell’ipofisi, che è l’organo adibito al controllo di tutte le attività ormonali.

Quando si assume la “pillola” all’ipofisi giunge il messaggio che non vi è necessità di produrre gli ormoni necessari per far maturale l’ovulo, in quanto essi sono già in circolo. Però, quando dopo 28 giorni la donna sospende la pillola – e di conseguenza cessa di avere ormoni di sintesi, estroprogestinici, in circolo – per l’ipofisi è come se fosse avvenuta l’ovulazione ma non vi fosse stato annidamento e si ha quindi una “falsa mestruazione”.

In più, oltre al meccanismo del blocco ovulatorio, la “pillola” comporta anche il mutamento del muco cervicale che rende difficoltosa la risalita degli spermatozoi e una modifica della mucosa uterina, che diventa inadatta ad ospitare un eventuale embrione.

L’assunzione della “pillola” comporta dei rischi per la salute della donna?

Naturalmente, come per ogni sostanza farmaceutica, assumendo la “pillola” si possono avere degli effetti collaterali, talvolta anche gravi. Tuttavia a mio avviso occorre essere molto rigorosi per fare una reale azione educativa: fornire notizie sensazionali ed emozionali è tipico della società odierna, ma questo modo di procedere finisce per non influenzare in maniera netta la realtà. Solo le persuasioni serie, affidabili e complete possono con gradualità diventare dei fondamenti nel modo di vivere e pensare delle persone.

Chiarito questo aspetto, è vero che le “pillole” hanno effetti collaterali, ma qualsiasi molecola chimica – anche i farmaci “buoni” – provoca delle reazioni, che sono sopportabili in relazione al beneficio che esse comportano: va valutato il rapporto costo-benefici. Oltre a questo parametro di giudizio, poi, occorre anche considerare altri parametri, che interessano a trecentosessanta gradi gli effetti dell’assunzione della “pillola”: questo metodo contraccettivo, ad esempio, è diseducativo nel momento in cui viene visto come un mezzo che consente di “spegnere il cervello”, di delegare la propria responsabilità ad un espediente tecnico, o di banalizzare la stessa sessualità.

Le “pillole”… com’è possibile trasmettere una corretta informazione alle giovani donne?

Possiamo fare molto per informare, ma come dicevo prima la cosa più importante è che nel contempo si punti ad educare le persone. L’informazione è per sua natura parcellare: è articolata secondo piccole frasi o spot, mentre per cambiare mentalità occorre formare le persone a tutto tondo.

In tale ottica, mi sento di dire una cosa: attorno alle tematiche della sessualità e dell’affettività le famiglie e le parrocchie dovrebbero essere più sensibili e nel contempo riconoscere che  per parlare di determinati argomenti potrebbero farsi aiutare – senza per questo abdicare al loro diritto-dovere di educare – da persone di provate competenze. È infatti sempre più necessario spiegare ai ragazzi cosa siano l’affettività e la sessualità intese in senso ampio…

Educare comporta un processo lungo e faticoso, ma solo cambiando la mentalità a poco a poco si può tentare di modificare qualcosa.

Com’è regolamentata in Italia l’obiezione di coscienza del personale medico, infermieristico e dei farmacisti per quanto riguarda la somministrazione della “pillola del giorno dopo” e dei “cinque giorni dopo”?

La questione è molto aperta. L’obiezione di coscienza è sancita dalla Costituzione e da singole leggi (come, ad esempio, la Legge 194, oppure la Legge 40) ed è valida per tutto il personale medico e para-medico che non condivida la liceità di determinate azioni o le conseguenze dettate dall’assunzione di taluni farmaci. Chiarito questo, resta comunque l’obbligo di assistere ogni paziente nelle fasi successive all’atto in sé, in tutto ciò di cui ha bisogno.

Sulla carta, quindi, l’obiezione è sempre concessa. Nella pratica, tuttavia, si hanno pesanti pressioni affinché si obblighi il personale ad eseguire gli interventi o a prescrivere i farmaci. Stiamo assistendo ad un tentativo di relegare l’obiezione di coscienza ad un’azione “confessionale”, e dunque opzionale e lecita solamente se non va ad intaccare il grande dogma moderno dell’autodeterminazione.

di Giulia Tanel

banner loscriptorium

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.