“Se si fermano le donne si ferma il mondo”. E’ lo slogan dello sciopero e della manifestazione di oggi delle femministe – in prima linea Non Una di Meno – per la Giornata Internazionale della Donna.
Ma cosa aspettarsi da uno sciopero che già nel nome “transfemminista” svela il volto della ideologia da cui prende vita?
Niente di buono.
Lo slogan scelto, infatti, su cui siamo tutti d’accordo, viene subito smentito dalle stesse istanze pensate dalle organizzatrici: annientare le donne e le loro peculiarità, a partire dalla maternità per finire a tutto quello che San Giovanni Paolo II chiamava “genio femminile”.
Sarò onesta: fa un certo effetto vedermi quasi “difendere” la Giornata della Donna, perché l’ho sempre considerata una giornata priva di senso, se non addirittura pericolosa, così come le quote rosa e tutto quello che gira intorno. La donna non ha bisogno di essere uguale all’uomo per essere. Non ha bisogno di occupare gli spazi come gli uomini, anzi “Una donna che voglia essere come un uomo manca di ambizione”. La donna ha un valore intrinseco specifico in quanto donna, da custodire: non siamo panda a cui concedere degli spazi a prescindere dal merito. E soprattutto quanta violenza durante queste giornate quando si indicano gli uomini come il male del mondo assoluto, fino ad annientare la figura del padre. E oggi subiamo le conseguenze di questa assenza del padre; e quanta infelicità nella distruzione dell’alleanza creativa tra uomini e donne, a cui questa giornata, che piaccia o no, negli anni ha contribuito.
Ahimè, sono convinta che proprio nel vecchio femminismo, che indicava alla donna la felicità nell’emanciparsi dal suo essere donna e madre, e che oggi prende le distanze dal femminismo queer, ci sia la matrice di quello che oggi riempirà le nostre strade, tv, case.
La domanda decisiva è: cosa è una donna per le organizzatrici di questo sciopero? Leggendo i loro proclami non si scorge una parola di realtà sui problemi che una donna oggi deve affrontare o sulle ingiustizie che subisce.
Non una parola sulla libertà di essere madre, lavoratrici o entrambe e sul bisogno concreto di sostegni per poter armonizzare le due cose, se non quella di proporre di lasciare i papà a casa così le mamme possono tornare prima a servire il capo. Non vogliamo tornare a lavoro, pur di non perderlo, con i seni pieni di latte quando i nostri figli sono ancora minuscoli e bisognosi di noi. Vogliamo smettere di essere costrette a nascondere gravidanze o temere lo sguardo del capo quando ne annunciamo una. Vorremmo un welfare che ci riconosca come madri e lavoratrici e ci aiuti, per esempio, con il lavoro flessibile. Vogliamo portare il nostro contributo unico al mondo del lavoro senza dover rinunciare ai nostri figli; un lavoro che rispetti questa peculiarità. Poi certo, se i nostri mariti potessero starci accanto per un numero di giorni superiore a 10 e accompagnarci nelle prime settimane delicatissime del puerpero saremmo felicissime. Ma insieme.
Non una parola, poi, sull’indegna bullizzazione e denigrazione che bolla come frustrate o donne di serie B chi sceglie, ed alcune lo fanno con grandi sacrifici, di prendersi cura esclusivamente dei loro figli e mariti, o magari dei nonni, quando malati.
Non una parola sulle donne caregiver, che offrono la loro vita per la cura dei più fragili subendo, loro e le loro famiglie, l’ingiustizia di essere abbandonate e di dover strappare sempre con i denti quello che invece sarebbe diritto ricevere.
Non una parola sulle troppe donne abbandonate all’unica soluzione dell’aborto quando si trovano di fronte a una gravidanza inaspettata o difficile. In Italia nessuna donna è costretta a partorire per presunte carenze dell’ingiusta Legge 194, ma moltissime sono costrette ad abortire per la mancanza di aiuti che riescano a far superare i disagi economici, sociali e psicologici. Oggi in Italia, infatti, NON è garantito il diritto a NON abortire, come del resto abbiamo denunciato con una serie di affissioni partite qualche giorno fa (a Roma e nelle principali città italiane) e con una petizione popolare. Ci verrebbe spontaneo immaginarci l’una accanto alle altre per pretendere aiuti in questa direzione, e invece nelle istanze dello sciopero troviamo la richiesta di censurare e impedire l’esistenza delle associazioni pro life che si impegnano per proporre alle donne incinte soluzioni per superare le difficoltà che le costringono ad abortire, negando tra l’altro ciò che l’aborto è realmente: la soppressione di una vita umana innocente e un dramma per le donne, con conseguenze fisiche e psicologiche in alcuni casi anche molto gravi.
Ma se non toccano questi temi, quale sarà l’agenda dello sciopero di oggi?
Lor signore, compresa la neo segretaria del Pd Elly Schlein, dicono di voler rappresentare tutte noi, ma ci danneggiano fino anche a volerci cancellare, promuovendo gender, utero in affitto, prostituzione, pornografia e aborto per tutte.
Riempiono, infatti, i manifesti di ə (Schwa), e chiedono, il giorno della celebrazione della donna, di entrare nelle scuole per chiedere di indottrinare i nostri figli all’educazione gender, insegnare loro, cioè, che chiunque voglia dichiararsi donna debba essere riconosciuto come tale. Che quindi, tirando le somme, le donne non esistono in quanto tali. E aggiungono di voler sponsorizzare, sempre nelle scuole, l’approccio affermativo, compreso di carriera alias, che in tutto il mondo si sta rivelando fallimentare e pericoloso, soprattutto per le ragazzine. Lo sanno che il contagio sociale, che sta portando ad aumento esponenziale delle disforie di genere tra gli adolescenti, sta colpendo maggiormente le ragazzine, convinte che sarebbero più felici se fossero maschi? Conoscono i movimenti di donne, ex ragazzine disforiche, che denunciano di aver subito medicalizzazioni non solo inutili, ma anche dannose e irreversibili, in nome di una ideologia feroce che non ha voluto indagare la loro sofferenza, come mastectomia e isterectomia?
Non è un cortocircuito questo?
O ancora, in quei Paesi in cui 10 anni fa si promuovevano queste visioni, oggi alcuni uomini rubano i posti di lavoro e nello sport alle donne, forti dell’ideologia gender che permette loro di sentirsi “donna” o accedono agli spazi femminili, come i bagni, gli spogliatoi e le carceri, con conseguenze anche tragiche sulle donne. Però per le scioperanti questo non solo è accettabile ma è l’idea di fondo che auspicano.
Chiedono, poi, di legalizzare la prostituzione chiamandola “sex work”, quando invece è scientificamente dimostrato che ovunque sia stata legalizzata è aumentata la tratta di donne e bambine, stuprate e schiavizzate per essere alla mercè di maschi vogliosi e di papponi insaziabili.
Chiedono di incentivare la pornografia, cioè la prostituzione filmata, anche attraverso progetti nelle scuole di educazione sessuale, quando è ormai acclarato dagli studi che l'uso della pornografia dilagante sta comportando una diminuzione di empatia nei confronti delle donne che subiscono violenza. Chi fa uso di pornografia, infatti, rafforza la credenza che il maschio debba dominare e la femmina sottomettersi (e no, non è la sottomissione paolina che viene rinforzata), oltre a normalizzare pratiche sessuali estreme. Chi fa uso di pornografia, sempre più, tende a rapportarsi a una donna come oggetto. Impressionanti, in tal senso, sono gli studi che mostrano che si elaborano le immagini sessualizzate delle donne con i processi con cui si elaborano gli oggetti, e non con processi che di norma usiamo quando ci relazioniamo con altri esseri umani. Nella sostanza, quindi, il giorno della celebrazione della donna, con una mano si finge di volere essere contro la violenza, con l’altra la si nutre, sponsorizzando la pornografia.
Chiedono, come se non bastasse, di legalizzare la pratica disumana dell’utero in affitto, schiavitù del terzo millennio, che obbliga donne povere a vendere il proprio figlio per i capricci ideologici di persone ricche che si dimenticano che i bamabini non si comprano, ma neanche si ragalano ci dovessere essere l’intenzione. Ma in fondo, se i figli si possono eliminare, perchè stupirsi che si possano vendere o cedere a terzi?
Sempre le stesse manifestanti, infatti, vorrebbero convincere le nostre figlie che l’aborto sia socialmente preferibile alla maternità, più conveniente, nascondendo loro quello che l’aborto è: non può farti tornare indietro e decidere di non essere mamma, ma ti fa scegliere se essere mamma di un figlio vivo o morto. Chiedono di ruspare i cimiteri che accolgono i nostri figli che non abbiamo potuto abbracciare.
Infine non manca, nel manifesto, un rimando alla cosiddetta “medicina transfemminista” che, tanto per fare un esempio, non parla di donne ma di “persone con le mestruazioni”, ma non si preoccupa di raccontare, per esempio, che una donna che sta per avere un infarto non ha gli stessi sintomi di un uomo.
Ma quale Giornata della Donna? La chiamassero la festa del gender, dei diritti Lgbtqia+, del fluido, ma non della donna: siamo stanche di essere sfruttate da una ideologia che, dopo averci indicato ingiustamente come nemici i nostri alleati, cioè gli uomini, vorrebbe affondare il colpo e annullarci in quanto donne e madri.
E' questa, dunque, la Giornata della Donna? NO! Non nel mio nome!
Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.
Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.
Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.
Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del « mistero », alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità.
Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta « sponsale », che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.
Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani.
-San Giovanni Paolo II