“Girls will be” e “Call Me Tree”: nuove “strategie” che sfidano gli stereotipi gender.
L’ideologia di genere non è che l’ultima versione di una corrente di pensiero che anela a liberare l’uomo dagli schemi che lo costituiscono, ma l’effetto è quello di privarlo di punti di riferimento.
Le “strategie” che sfidano gli stereotipi gender sin dall’infanzia, servono per crescere individui manipolabili, lontani dalla realtà e totalmente privi di legami.
Dall’America arrivano 12 linee di abbigliamento, per bambini, che sfidano gli stereotipi di genere. Un vero e proprio “dress code” che propone vestiti rosa e viola, sia per i ragazzi che per le ragazze, così come t-shirt con disegni di camion, dinosauri, pianeti e altre immagini. In Texas, per esempio, Sharon Choksi mamma di una bambina dallo spirito avventuroso, ha lanciato “Girls will be” una nuova linea di abbigliamento in onore di sua figlia. Una ragazza sportiva che ama la natura. Sharon rattristata per non aver trovato negli scaffali dei negozi vestiti semplici e abbastanza comodi che potessero adattarsi alla personalità della figlia, ha deciso di creare una linea di abbigliamento che possa far sentire la giovane “se stessa” con degli abiti da ragazzo dall’etichetta “Girls will be”.
Tutto questo ha l’aspetto di una grande forzatura, che ha in sé uno spirito discriminatorio molto pericoloso. Diciamo la verità, i vestiti sono sempre passati di generazione in generazione, mamma ti vestiva con i jeans e la camicia di tuo fratello più grande, perché si doveva fare “economia” e nessuno si è mai sentito discriminato o a disagio per questo, è un assioma della nostra cultura.
Anche la letteratura non è esente da tentativi di strumentalizzazione. Avete presente la “La Bella Addormentata nel Bosco”, “Biancaneve e i sette nani”, “La Sirenetta”? Bene, scordiamoceli perché a surclassare i grandi classici arrivano libri per bambini come: “Call Me Tree”, o meglio “Chiamami Albero”, nel quale la scrittrice Maya Christina Gonzalez, autrice del libro, ha eliminato i pronomi specifici di genere. Lei vede i primi anni di vita di un bambino come un tempo per crescere e capire la propria identità. Maya ha dichiarato: «La nostra cultura ha una forte tendenza alla distinzione di genere ragazzo-ragazza che entra in gioco fin dall’infanzia». Il libro apre alla possibilità di non conoscere il sesso di un bambino, non importa quale sia l’identità di genere, ciò che è prezioso, secondo l’autrice, è che i bambini si sentano liberi, generando in loro un forte senso di apprezzamento delle differenze. Nonostante il fatto che il testo sia privo di pronomi specifici di genere, i revisori hanno identificato il personaggio principale in un ragazzo “cisgender” che non è una brutta parola, bensì si riferisce a qualcuno a proprio agio con il genere che gli è stato “assegnato” alla nascita.
Questi sono solo alcuni degli svariati tentativi di creare confusione travisando la realtà: la società ha bisogno di identificare le persone con i termini uomo e donna. La necessità di “eliminare” l’identità sessuata, tenendo in sospeso la possibilità di identificarsi con non si sa più che cosa, rischia di farci cadere in una trappola profonda e buia.
La strategia di queste iniziative è quella di minare la famiglia tentando di distruggere l’idea di uomo e donna che è alla base del nucleo familiare e cardine imprescindibile per la procreazione. In pratica, ipotizzano e anelano la fine del genere umano.
I cambiamenti culturali, soprattutto in ambiti così delicati, non vanno trascurati. Il dott. Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta, autore del libro “Come scegliere il proprio orientamento sessuale (o vivere felici)”, durante un’intervista ha dichiarato: «Lo statistico Roberto Volpi ha dimostrato (“La fine della famiglia”, 2007) che il cambiamento culturale portato con la legge sul divorzio ha avuto come effetto una diminuzione drastica della natalità; una ricerca del 1988 (Guis e Cavanna, “Maternità negata”) ha dimostrato che il 32% delle donne non avrebbe abortito in assenza della legge 194; e non è senza fondamento l’idea che il passaggio, avvenuto negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, ad una visione della vita fondata sulla soddisfazione personale dei propri bisogni affettivi e sessuali abbia avuto come conseguenza una maggior fragilità del legame matrimoniale.
Infine, come è nel destino di ogni ideologia, anche la teoria del gender si sta trasformando in una dittatura, che limita la libertà di pensiero e di espressione e discrimina chi non si adegua a questa visione dell’uomo».
Sara Alessandrini