«Libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta» (Dante, Purg. II, 71) è una celebre frase di Catone Uticense di Dante, morto per amore di libertà e per questo messo dal Poeta tra i salvati, nonostante il suicidio (che Dante interpretava in questo caso come un anelito alla libertà dal peccato).
Nei versi centrali dei 99 canti della Divina Commedia (prologo a parte), Marco Lombardo spiega a Dante che se tutto fosse mosso esclusivamente dalla necessità, non ci sarebbe il libero arbitrio, né la giustizia che fa trarre gioia dal bene e dolore dal male: non è un caso, secondo molti studiosi come Franco Nembrini, che il Poeta abbia posto al centro “fisico” della sua opera il libero arbitrio e la giustizia di Dio. «Il cardine centrale dell’intero poema è la questione del libero arbitrio e dell’Amore», scrive Nembrini. «L’amore come natura dell’essere, natura di Dio e natura dell’uomo».
«Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto»
(Dante, Purg. XVI, 69-72).
E quindi, con la benedizione del Sommo Poeta, abbiamo dedicato questo numero della nostra Rivista a una riflessione sul tema della libertà. Ne abbiamo ragionato da un punto di vista giuridico e filosofico e da un punto di vista sociale e pratico, considerando gli effetti e i risvolti di questa lunga privazione delle libertà fondamentali subita a causa degli "arresti domiciliari" imposti per via del coronavirus.
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