I temi etici stanno per tornare prepotentemente al centro della scena politica italiana. Lo riferiscono vari media, tra cui Tgcom24, che fanno presente come, a breve, il terreno di scontro sarà su un argomento specifico e delicato al tempo stesso: quello del riconoscimento dei diritti dei figli di coppie composte da persone dello stesso sesso all'interno dell'Ue. Al centro del dibattito, che avrà luogo al Palazzo Madama, non ci sarà un disegno di legge proposto da qualche partito, bensì l’approvazione o il rigetto della proposta di regolamento della Commissione Ue, di cui Pro Vita & Famiglia aveva dato notizia lo scorso dicembre, che riguarda per appunto i «diritti dei genitori dello stesso sesso».
Una iniziativa che, ammantata dalla consueta patina rassicurante e filantropica – quella di offrire «tutele» a dei “genitori” omosessuali -, nei fatti si traduce però in qualcosa di inaccettabile, vale a dire una neppure troppo indiretta, anzi esplicita, legittimazione della pratica disumana dell’utero in affitto. Non è un caso che, anche a livello europeo, l’iniziativa della Commissione Ue abbia sollevato non pochi allarmi. Per esempio, monsignor Hermann Gletter, vescovo della Conferenza episcopale austriaca, ha preso carta e penna per mettere in allerta i politici del suo Paese dall’appoggiare una pratica caratterizzata dal «disprezzo per i bimbi» e dallo «sfruttamento spietato delle donne».
Ma torniamo allo scontro che potrebbe esserci al Senato. Le aspettative, in estrema sintesi, sono le seguenti: il centrodestra dovrebbe denunciare i rischi di legittimazione dell’utero in affitto che comporta l’iniziativa europea, alla quale sarà con ogni probabilità votata dal centrosinistra. Su una posizione intermedia, per così dire, potrebbe invece collocarsi il Terzo polo, che pare intenzionato a mediare con un certificato di filiazione europea facoltativo, e non obbligatorio, in modo da non intaccare il diritto di famiglia che è tema di competenza dei singoli Stati. Inutile ribadire che, ben lungi dall’essere astratta o di lana caprina, la questione risulta di importanza cruciale.
Aprire all’utero in affitto, anche in modo indiretto, sarebbe a tutti gli effetti qualcosa di disastroso. Da questo punto di vista, degli elementi di rassicurazione tuttavia non mancano. Basti pensare sia a quanto recentemente dichiarato dal premier Giorgia Meloni – la quale, nell’intervista rilasciata al settimanale Grazia, ha condannato l’ideologia del gender come dannosa per le donne e dell'utero in affitto come la nuova schiavitù del XXI secolo -, sia al ddl recentemente ripresentato in Parlamento dalla sottosegretaria alla Difesa, Isabella Rauti, e dal capogruppo a Palazzo Madama, Lucio Malan, ambedue esponenti di Fdi -, per rendere la maternità surrogata reato universale. Ci sono insomma motivi per immaginare che dalla solida maggioranza di centrodestra presente anche in Senato, oltre che alla Camera, non arriveranno spiacevoli soprese né delusioni.
Questo però non è un buon motivo per abbassare la guardia. Sia perché le pressioni europee pro utero in affitto sono davvero molto forti, sia perché attorno alla maternità surrogata il giro d’affari – che è di dimensioni globali - cresce giorno dopo giorno. Diventa quindi fondamentale, in una fase così, non farsi ingannare dai giri di parole usati anche dalla Commissione Ue, che si dice preoccupata per i «cittadini europei» che «si trovano sempre più spesso in situazioni transfrontaliere ad esempio quando hanno familiari in un altro Stato membro, viaggiano all'interno dell'Unione, si trasferiscono per lavoro o creare una famiglia», e, nell’affermare tutto ciò, si scorda (ancora una volta) del vero soggetto debole e usato come merce di compravendita: il figlio.