In occasione della Giornata internazionale della Donna, che si è celebrata lo scorso 8 marzo, Pro Vita & Famiglia ha avviato una campagna di affissioni e camion vela per ricordare che il primo diritto di ogni donna da preservare è quello alla vita. Messaggio che è stato prontamente censurato con la rimozione delle affissioni e che non è piaciuto alle femministe, che hanno vandalizzato la sede nazionale di Pro Vita & Famiglia di viale Manzoni a Roma. Ne abbiamo parlato con lo scrittore Antonio Morra, laureato in Teologia presso la FIRE School of Ministry e diplomato in studi biblici del Nuovo Testamento presso l’Università delle Nazioni YWAM, autore anche di “Sangue innocente la Bibbia, la Chiesa, la società e l’aborto”.
Innanzitutto che ne pensa dell’immagine e del messaggio contenuto e trasmesso dalle nostre affissioni?
«Io sono contrario alla censura, in generale, a meno che non si tratti di messaggi realmente scandalosi o volgari, a maggior ragione sul messaggio trasmesso dalle affissioni di ProVita. Poi sono anche assolutamente d’accordo sul discorso dell’aborto selettivo, denunciato dall’associazione e che riguarda molti paesi in cui solo perché nasci donna sei condannata a morte prima ancora di venire al mondo. Il concetto che c’è dietro la campagna mi trova totalmente a favore, avrei dissentito solo se fossero state utilizzate immagini crude, ma così non è».
Come mai secondo Lei, oggi le femministe sembrano rivendicare diritti solo in senso solo negativo? All’aborto, alla contraccezione e così via, ma non si preserva il primo di tutti i diritti?
«Innanzitutto io vorrei sottolineare che in Italia, effettivamente, la donna, negli anni passati, è stata messa un po’ troppo da parte e ora è come se ci fosse una contro risposta che però sta passando all’eccesso opposto. L’atteggiamento di fondo delle femministe, oggi, è troppo aggressivo perché non si può più nemmeno parlare di alcuni argomenti. Ad esempio la valorizzazione della donna che vuole fare la mamma è considerata quasi un tabù. Il femminismo di oggi, molto influenzato da quello statunitense, tende a condannare senza se e senza mamma questa scelta, anche quando è totalmente libera e voluta. Eppure è semplicemente la scelta di una vita più semplice, ma che viene letteralmente censurata, secondo il dogma della cancel culture».
La nostra campagna ha subito delle ripercussioni anche materiali: i collettivi femministi hanno vandalizzato la sede di Roma.
«Sono totalmente contrario a questi attacchi: si tratta di una violenza contro una sede che rispecchia delle idee di alcune persone, è come se chi la pensa come ProVita facesse la stessa cosa nelle loro sedi. Si è sempre detto che la mia libertà finisce dove comincia la tua, ma sembra che questo non valga per loro. Perché se si afferma qualcosa di diverso rispetto al loro pensiero, allora non va bene. Il cartellone peraltro era più un invito alla riflessione che un’imposizione, perché in Italia l’aborto è legale. Eppure persino dei tentativi così semplici e tranquilli vengono considerati come un attacco alla loro ideologia. Sono sicuro che non tutte le femministe siano così, però, c’è sicuramente una frangia molto estrema».