La sentenza storica con cui lo scorso 24 giugno la Corte Suprema americana ha annullato la “Roe vs. Wade” del 1973 è stata commentata in mille modi. Una cosa però è parsa chiara fin da subito: quelli che dicevano che sull’aborto - come presunto diritto della donna - «indietro non si torna», si sono dovuti ricredere. La storia infatti la fanno gli uomini ed essa non è già scritta. Tanto meno lo può essere in favore dell’iniqua soppressione dell’essere umano più innocente.
Eppure, da una sponda all’altra dell’oceano si è levata una miriade di giudizi critici, di odio e di condanna. Attenzione però: la condanna per la sentenza rivoluzionaria non è venuta dal popolo, dai medici, dalle donne e dalla gente comune.
L’unanimità dei giudizi di aspra condanna viene da una fonte unica, benché frastagliata in mille e più rivoli. Si tratta, senza alcun dubbio possibile, dei cosiddetti “poteri forti”. Miliardari, compagnie multinazionali, firme e marche più o meno monopolistiche, gruppi di pressione, lobby di potere, media che contano.
Dopo Amazon, Microsoft, Facebook, Netflix, Disney e altri miliardari – i gerenti e i garanti della mondializzazione, del profitto e della disuguaglianza – anche Google, infatti, si è unita al coro dei conformisti, come riportato dall’Ansa. Il colossale motore di ricerca, infatti, ha annunciato che «cancellerà la cronologia della localizzazione quando un utente visiterà una clinica per l'aborto, un rifugio contro la violenza domestica o altri posti 'sensibili'».
Ebbene sì, in modo vergognoso si associa la clinica abortista al “rifugio anti violenza”. Una clinica pro life, semmai, sarebbe un vero rifugio per la donna che ama, lotta e spera nella vita. La clinica abortista è un centro di violenza legalizzato e promosso, in cui alcune donne, non certo la maggioranza delle stesse, vengono raggirate, blandite, illuse, a volte o spinte con la forza.
«La società di Menlo Park – riporta sempre l’Ansa - risponde così per la prima volta all'appello dei giganti del web di limitare la quantità di informazioni che raccolgono e che potrebbero essere usate dalle autorità in Stati che puniscono l'interruzione di gravidanza».
Eccola, quindi, la strategia di questi “buoni” giganti del Web. Eh sì, perché costa molto meno alle aziende pagare un aborto che retribuire, da contratto, una lavoratrice incinta, per i mesi di gravidanza e il congedo maternità.
In ogni caso, sono già almeno 12 gli Stati a stelle e strisce che hanno liberato le mamme (ed anche i papà), i medici (ma anche le infermiere) dalla tentazione di sopprimere una vita umana innocente, che almeno nel 50% dei casi sarebbe stata una vitale e irripetibile cittadina di domani.