15/05/2024 di Giuliano Guzzo

L’utero in affitto cela anche truffe. Proprio come una compravendita di oggetti

L’utero in affitto è un barbaro mercato che mercifica i corpi delle donne e riduce i neonati a meri oggetti di compravendita. È una realtà incontrovertibile, che da parte sua Pro Vita & Famiglia evidenzia da anni e che perfino l’Europa – ed è tutto dire – si è spinta a condannare, seppur si sia limitata a farlo solo per il suo sfruttamento e non in toto.

Ciò nonostante, il gigantesco business dell’utero in affitto continua a prosperare, originando situazioni drammatiche, che non fanno che evidenziare quanto quella della surrogata sia un fenomeno da contrastare e sul quale ad avere la meglio è sempre la logica della speculazione.

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Va in questa direzione anche una vicenda ricostruita dal Corriere in questi giorni, in un servizio di Monica Ricci Sargentini, la quale ha raccontato la vicenda di Sara e Alberto, nomi di fantasia di una coppia milanese rispettivamente di 43 e 35 anni, con lei che non ha più l’utero e che, pertanto, non può più concepire. Il desiderio di genitorialità è però così forte che i due decidono di intraprendere la strada dell’utero in affitto in un Paese che, soprattutto ultimamente, si è ritagliato amplissime fette di mercato: la Georgia, uno dei pochi Paesi che consente la maternità surrogata internazionale, non a caso Avvenire è arrivato a parlare di nuovo supermarket.

Così, nel 2022, colpita dalle recensioni positive del sito della Clinica Vita Nova a Tbilisi – che vanta 20 anni esperienza -, la coppia decide di procedere, firmando il contratto con l’agenzia. La scorsa estate viene comunicato ai due, al terzo tentativo - grazie agli ovuli forniti da un’altra donna -, che la mamma surrogata ingaggiata è finalmente incinta. Aspetta due gemelli. Per i due la gioia è immensa. Nel febbraio di quest’anno, però, iniziano le brutte sorprese: la mamma surrogata ha la pressione alta ed è in ospedale. Così il 23 dello stesso mese, alla trentaduesima settimana, i gemelli nascono: sono due bimbe, una pesa 1,5 kg, l’altra poco meno di 1,3 kg.

Il parto pretermine rende necessario il ricovero in neonatologia, reparto di cui la clinica di Vita Nuova è però priva. Le bimbe così sono state trasferite al Gudushauri National Medical Center, una clinica perinatale, da dove non saranno dimesse se prima – viene detto alla coppia - non verrà pagata una somma ingente legata al loro ricovero. L’importo è di 12.000 euro, richiesti in contanti. Quando però volano a Tbilisi, i due “genitori” committenti hanno un’altra brutta sorpresa: gli euro richiesti sono saliti a 24.000. Un aumento sospetto, tanto più dopo aver appreso dell’odissea georgiana anche di altre coppie, guarda caso tutte con figli nati prematuri a seguito di maternità surrogata. Sono così coinvolti dalla coppia sia un avvocato, sia la Farnesina, e la vicenda dovrebbe sbloccarsi proprio in questi giorni con una riduzione pattuita a “soli” 19.000 euro del compenso all’ospedale georgiano.

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Quale però che sia l’esito di questa sconvolgente storia, una cosa pare tuttavia evidente: l’utero in affitto è una trappola. Lo è anzitutto, come già si diceva in apertura, per i neonati, che sono completamente spogliati della loro dignità di persona e ridotti a merce. Ma lo è anche, oltre che per le gestanti – anch’esse spesso illuse da quattrini facili, prima di ritrovarsi ad essere ingranaggi umani di un meccanismo che di umano ha ben poco -, per le stesse coppie, che da un lato alimentano il barbaro mercato nelle vesti di committenti, e, dall’altro, da questo mercato possono essere a loro volta sfruttate e spremute, come acquirenti da spennare. Un motivo in più, per il Parlamento italiano, per procedere a rendere l’utero in affitto reato universale, senza illudersi che ne possano esistere improbabili varianti solidali né, tanto meno, gratuite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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