30/10/2013

Una magistratura che si sostituisce alla famiglia

Cosa accade se è la magistratura ad occuparsi dell’educazione dei figli? Lo sconfinamento dei giudici nell’ambito degli affetti familiari e dell’insegnamento dei valori rivela l’impotenza e la rinuncia della famiglia al suo ruolo educativo.

Leggete il documento qui sotto e ditemi cosa ne pensate.

In occasione della ripresa dei cicli scolastici e come già fatto negli anni trascorsi con note indirizzate esclusivamente al Dirigente dell’Ufficio scolastico Regionale e alle Direzioni provinciali, è cura di questo Tribunale ricordare ai dirigenti scolastici, ai rappresentanti di Istituto, agli insegnanti tutti, ciascuno dei quali riveste la qualifica di incaricato di servizio pubblico e, pertanto, autonomamente responsabile in caso di omissione, l’obbligo di segnalazione non solo di evasione scolastica, ai sensi dell’art. 731 codice penale, laddove rivesta il carattere della significativa continuità, ma anche  di tutti i casi di disagio, che – in considerazione dell’osservazione qualificata cui gli alunni minorenni sono sottoposti,  fatta di competenze e conoscenze specifiche portate anche dal personale dei C.I.C., ove esistenti – possano rappresentare espressione di maltrattamento intra o extrafamiliare, nelle varie forme dell’incuria, della discuria e dell’ipercura tenendo conto che quello scolastico è ambito assolutamente privilegiato per il rilevamento di disfunzioni nello sviluppo della personalità dei minori.

Si ricorda la necessità di segnalare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni e non direttamente o anche solo per conoscenza al Tribunale e che la segnalazione ai servizi o ad altri enti od autorità non assolve l’obbligo di legge.

Si raccomanda la massima diffusione a tutti  dirigenti degli Istituti scolastici e si ringrazia cordialmente per la collaborazione che ci si augura fattiva e costante.”

Si tratta di una “Raccomandazione di segnalazione di evasione scolastica, di altri fattori di disagio degli alunni minorenni e di fenomeni di bullismo”, inviata all’inizio del mese di ottobre dall’Ufficio di Presidenza del Tribunale dei minori di Ancona agli Uffici scolastici provinciali della Regione Marche. La raccomandazione, come avete letto, ricorda agli addetti all’istruzione l’obbligo di segnalare l’evasione scolastica, e invita gli stessi a comunicare anche “tutti i casi di disagio, che […] possano rappresentare espressione di maltrattamento intra o extrafamiliare, nelle varie forme” – e qui viene il bello – “dell’incuria, della discuria e dell’ipercura”.

Non mi sorprende il linguaggio da psicologo assunto dall’estensore della raccomandazione. Come attesterebbe una piccola ricerca sul web, i tre termini usati per indicare il maltrattamento (incuria, discuria, ipercura) sono conosciuti nell’ambito della psicologia clinica (vedi ad esempio qui o qui); ma si tratta di patologie complesse, difficili da rilevare anche dopo un’attenta analisi condotta da equipe specializzate, figuriamoci se la loro individuazione può essere lasciata alla fugace osservazione di insegnanti affannati.

Tuttavia, ciò che colpisce di più del documento è la sua conclusione perentoria, laddove si afferma “la necessità di segnalare alla Procura della Repubblica” i casi suddetti, e non solo al Tribunale per i minori o ai servizi sociali. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento di potere e di funzioni della magistratura che ha svolto spesso un compito di supplenza nei confronti della politica. Dovremo assistere ad un fenomeno analogo nei confronti della famiglia? Sarà il magistrato a decidere, dopo la segnalazione da parte della scuola, se un minorenne è stato educato in modo “anacronistico” o se è stato “troppo curato”? E se i genitori sono ignoranti, un po’ rozzi e magari anche poveri che succederà? Che il figlio gli verrà tolto?

Quel che dovrebbe far riflettere è non soltanto il rischio di una pericolosa ingerenza che siffatte decisioni e azioni produrrebbero in un ambito della vita, quello dei legami familiari, molto delicato e attraversato da mille sentimenti soggettivi, ma soprattutto il problema di fondo che esse denunciano. Come nel caso della politica, nella quale il potere giudiziario ha iniziato ad intervenire a causa dell’incapacità che quella ha manifestato a risolvere tante questioni (dal conflitto di interessi alla corruzione, dalle riforme istituzionali alle norme elettorali), anche nel campo dell’educazione lo sconfinamento della magistratura rivela l’impotenza della famiglia ad affrontare il nodo dei valori da insegnare ai figli.

Poiché tale incombenza è divenuta per molti genitori complessa, irta di ostacoli e, non da ultimo, fastidiosa, l’opinione pubblica tende a delegarla ad istituzioni anonime e burocratiche o a soggetti estranei alla famiglia: la scuola, le società sportive, la Chiesa, le associazioni ricreative, i gruppi di amici, le compagnie che si formano nei locali di ritrovo, quando non addirittura la televisione, i videogiochi, internet. L’esperienza personale mi ha costretto a constatare una realtà desolante relativamente alle famiglie di recente costituzione: per molte giovani madri l’educazione dei figli è questione “da esperti”, perciò non può essere affrontata e risolta in casa (“serve grande competenza psicologica per allevare un figlio…”); per molti giovani padri è invece una preoccupazione femminile, perciò non merita né attenzione né perdita di tempo da parte del maschio (“i figli si educano da sé, lasciandogli sbattere il muso contro la realtà…”).

Se questa è la new wave, la “tecnicizzazione” dell’educazione dei figli sarà inevitabile e andrà di pari passo con la sua “burocratizzazione”. Più i sentimenti e gli affetti saranno sostituiti da interventi di esperti e di giudici, più si irrigidirà la relazione tra adulto e minore, trasformandosi in quella tra utente (il figlio) e venditore di servizi (il genitore). Non mi stupisco, allora, del fatto che il Presidente del Tribunale dei minori avverta sui rischi dell’incuria, della discuria e dell’ipercura. Un genitore che teme di educare male il proprio figlio e che per questo rinuncia all’onere di farlo, un genitore che, sentendosi sopraffatto da un compito che le mode hanno reso troppo complesso, decide di non educare, non è più un genitore, ma un individuo potenzialmente pericoloso per il minore.

Mia nonna (classe 1900) mi diceva sempre che per occuparsi di un figlio serve una cosa sola: l’amore.  È  morta da poco più di vent’anni, ma da allora sembra essere trascorso un secolo.

di Carlo Cerioni

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