Il cosiddetto matrimonio gay è una materia di competenza esclusiva degli Stati, che pertanto possono legalizzarlo o meno, in piena libertà.
Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea, che ha sottolineato l’autonomia dei singoli Paesi in materia di “nozze” per le coppie dello stesso sesso.
Pronunciamenti nello stesso senso – come abbiamo segnalato – sono venuti recentemente anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Viene così riconosciuto il principio di sussidiarietà su questioni attinenti alla sfera etico-morale: una risposta a chi, mentendo, ripete in continuazione che il riconoscimenti dei “diritti” per le “famiglie” LGBT sono indispensabili perché... “ce lo chiede l’Europa”.
Con la sentenza sul caso David L. Parris v Trinity College di Dublino, pubblicata ieri, i giudici hanno confermato al punto 59 che gli Stati membri dell’Unione europea sono liberi di prevedere o di non prevedere nella loro legislazione il “matrimonio” gay o una forma alternativa di riconoscimento legale della relazione tra persone omosessuali (come ad esempio le unioni civili). Nel caso in cui decidessero di riconoscere giuridicamente questo tipo di convivenza, gli stessi Stati hanno l’obbligo di stabilire la data a partire dalla quale suddetti matrimoni o unioni iniziano ad avere effetto.
Nella fattispecie esaminata dalla Corte di Giustizia, il Trinity College di Dublino consente la reversibilità della pensione al coniuge vedovo di una coppia omosessuale sposata o unita civilmente, purché la registrazione dell’unione sia avvenuta prima che i due abbiano compiuto il sessantesima anno di età. Il dottor David Parris, iscritto al fondo pensionistico del Trinity College, ha vissuto con il suo partner dello stesso sesso per più di 30 anni ed ha registrato l’unione civile nel Regno Unito nel 2009. Tuttavia, ha raggiunto i 60 anni prima che la legge sul “matrimonio” gay entrasse in vigore in Irlanda. Quindi non ha diritto alla pensione da vedovo.
In base al principio che ciascuno Stato è sovrano in materia, i giudici hanno pertanto sentenziato che il Trinity College non opera alcuna “discriminazione” per motivi di orientamento sessuale e/o età nel caso specifico.
Redazione
Fonte: Agenda Europe