Polonia e Ungheria fermano l’avanzata del matrimonio gay in Europa, dimostrando ancora una volta come dall’Est, un tempo sotto il tallone comunista, oggi venga una rinascita dei valori tradizionali.
Secondo il quotidiano spagnolo ABC, al Consiglio dei ministri dell’Interno europei del 3 dicembre si è esaminato un accordo volto a riconoscere i diritti patrimoniali ad ogni tipo di matrimonio e unione riconosciuti all’interno dell’Unione europea, compresi quelli tra persone dello stesso sesso.
Obiettivo di questa misura era stabilire che il giudice ha la competenza per decidere sui vari casi, anche nelle fattispecie di divorzi tra coniugi di differente nazionalità. Consentendo poi che la sentenza emanata sia valida in tutti gli Stati membri della UE.
La Polonia e l’Ungheria, però, si sono opposte e, nonostante i cinque anni di negoziati, dell’accordo non si è fatto nulla.
Le delegazioni dei due Paesi hanno fatto notare agli altri interlocutori che un simile provvedimento avrebbe violato il principio fondamentale di sussidiarietà e la legittima autonomia degli Stati in materia di diritto di famiglia. Le legislazioni nazionali polacche e ungherese, infatti, sono legate al diritto naturale e considerano il matrimonio solo quello contatto da un uomo e una donna.
Pertanto, nonostante al Consiglio si fosse tentato di tranquillizzare i recalcitranti assicurando che l’applicazione dell’accordo sarebbe stata “ampia e volontaria” (ovvero si sarebbe lasciata grande libertà ai singoli Stati membri), Polonia e Ungheria, a differenza di Portogallo, Slovacchia e Lettonia, hanno preferito non rischiare, evitando così di aprire un’ulteriore falla nella diga e di favorire l’inevitabile discesa lungo il piano inclinato.
Grande il disappunto di molti governi. Il ministro della Giustizia del Lussemburgo, Felix Braz, ha commentato: “Oggi non ci resta che constatare il fallimento dei negoziati. Non c’è un accordo politico unanime”. Sulla stessa linea la sua collega francese Christiane Taubira, la stessa che in Francia ha scritto la legge sul matrimonio gay, e quello svedese, Amdres Ygeman, che ha già promesso di passare al contrattacco, in quanto a suo parere difendere la famiglia naturale sarebbe “discriminatorio”.
Intanto, però, il matrimonio vero può cantare vittoria.
Redazione