Che il matrimonio gay aprirà la strada allo sdoganamento delle più varie e fantasiose forme di convivenza lo diciamo da parecchio.
In inglese al termine “couple”, che vuol dire “coppia” si affianca in modo sempre più diffuso la parola “throuple” che – volendo osare un’italianizzazione – potrebbe risultare “troppia” : cioè un menage a trois, più o meno omosessuale, di cui i sostenitori cominciano a pretendere il riconoscimento.
Tosatti su La Stampa ci informa di Nathan Collier, sposato con Victoria, che vuol chiedere un’ulteriore licenza di matrimonio: se il Tribunale della Contea di Yellowstone, in Montana, gliela negherà, è pronta a giungere in un ultima istanza fino alla Corte Suprema per veder riconosciuto quello che ritiene un suo diritto.
La Corte, se sarà coerente con la decisione di vietare la limitazione del matrimonio agli eterosessuali di pochi giorni fa, dovrebbe concederglielo: è una questione di libertà e di uguaglianza.
“Un’aspirazione analoga hanno Brynn, Doll e Kitten Young, racconta Tosatti, tre donne che vivono un relazione coniugale in Massachusetts [hanno fatto notizia già l’anno scorso, n.d.r.]. Doll e Brynn sono sposate legalmente (il Massachusetts riconosce le unioni omosessuali) ma Kitten Young no, e la poligamia non è ancora ammessa nello Stato, e hanno celebrato un matrimonio religioso. Allora hanno aggirato l’ostacolo rivolgendosi a legali esperti e formalizzando in forma privata la situazione. Brynn, Doll e Kitten Young che sostengono di essere la prima “throuple” nella storia da (three, tre, e couple, coppia) stanno aspettando un bambino ottenuto dalla più giovane, Kitten, rivolgendosi a una banca dello sperma. E sperano di averne altri due”.
E poi non dimentichiamo i tre giovani tailandesi di cui abbiamo detto a marzo, e il partito del poliamore in Svezia e altrove, sempre in nome della libertà e dell’uguaglianza: lo fanno “loro”, per “noi”, che male c’è?
Redazione