Unirsi in matrimonio ha ancora senso, oggi?
Economicamente no
Tutte le volte che capita, mi tornano in mente le stesse parole. Quelle che ho letto su una rivista pubblicata addirittura nel 1852. Pensieri che risalgono ad ancor prima dell’Unità d’Italia, che tuttavia a volerli rileggere oggi sarebbero tornati di prepotente attualità. Spiegherò solo alla fine di che si tratta. Per ora sappiate che quelle parole mi vengono in mente quando, come accade a tutti gli avvocati familiaristi, mi trovo di fronte a certi casi anomali ma sempre più frequenti. Sono coppie di coniugi che vengono dall’avvocato a chiedere la separazione per ragioni puramente economiche. In genere sono persone oltre la cinquantina, ma talvolta ne capitano di più giovani.
Vista l’ipocrisia che regna sovrana nel mondo del diritto di famiglia, e ovviamente anche il segreto professionale, del fenomeno non si parla quasi mai. Eppure esiste, e parrebbe essere pure perfettamente legale. Lo ha indirettamente confermato anche la Corte di Cassazione in una sua sentenza del 2003. La separazione e il divorzio, infatti, non si possono ‘simulare’. Perché quello che alla legge interessa è solo la volontà di non essere più conviventi né sposati. Non è decisivo il fatto che tra gli sposi sia davvero venuta meno la comunione di vita. Tant’è che questo tipo di coniugi si separano non perché abbiano smesso di andare d’accordo. Anzi, al contrario, lo fanno solo perché vanno molto d’accordo. E quindi si dano l’uno dell’altra no alla complicità. Infatti, si separano unicamente per pagare meno tasse. Oppure, per lucrare agevolazioni e prebende pubbliche che solo chi all’anagrafe risulta separato può ottenere.
Tra gli addetti ai lavori è un segreto di Pulcinella. Se n’è accorta persino Equitalia, e lo ha segnalato in un suo studio riguardante la tassazione sugli immobili. Non a caso, perché è quando in famiglia aumentano le proprietà immobiliari che separarsi diventa davvero conveniente. Ovvero, dovremmo meglio dire, diventa meno sconveniente che rimanere sposati.
Il vantaggio consiste principalmente nella possibilità di speculare sui benefici ‘prima casa’. Nello stesso tempo consente di risparmiare sulle future imposte e tasse, pagando Imu e bollette varie con la tariffa agevolata prevista in questi casi. Non si tratta di due spiccioli, perché il risparmio scale in queste situazioni può essere davvero forte.
Di solito queste scelte di comodo vengono prese da coppie già anziane e collaudate. Ma in molti casi separarsi converrebbe anche ai più giovani, che in genere non hanno, e coi tempi che corrono forse non avranno mai, risparmi da investire sul mattone.
Come certi politici ripetono inutilmente da anni, in Italia le politiche familiari sono scarsissime. Per le imposte sul reddito non esiste il cosiddetto ‘quoziente familiare’. Ognuno le paga solo sui propri guadagni.
Le detrazioni per i familiari a carico esistono, ma sono irrisorie rispetto a quello che attualmente costa davvero mantenere i figli. Per non parlare del costo indiretto di una moglie che, come ancor oggi spesso accade, per meglio seguire la prole rinuncia ad avere un suo lavoro, o si accontenta di un impiego poco retribuito. Ecco, in questi casi, il costo vivo del suo mantenimento se la coppia è sposata rimane integralmente un affare del marito. Se la coppia invece si separa, allora i contributi stabiliti dal giudice diventano deducibili.
Certo, va detto che per osare una separazione ‘fiscale’, bisogna fidarsi davvero l’uno dell’altra. Perché se la coppia poi dovesse scoppiare sul serio, i contributi fittizi potrebbero essere davvero pretesi con tanto di arretrati, interessi e denuncia penale.
Alla base del fenomeno, infatti, c’è proprio un problema di fiducia. La fuga dal matrimonio non è solo una questione fiscale. Quella in proporzione riguarda solo pochi casi.
Il vero problema sociale e morale dei nostri tempi è quello delle coppie che non si sposano nemmeno. Stando ai dati dell’Istat, in Italia il fenomeno è esploso dopo il duemila. I gli che nascono fuori dal matrimonio, nell’ambito di semplici convivenze, sono saliti a un quarto del totale. Nel contempo, in Italia il numero dei nuovi matrimoni è in calo verticale.
Perché questo avviene? Sono molte le cause, ma ce n’è una in particolare. Molte coppie preferiscono la convivenza soltanto perché hanno paura di quello che potrebbe capitare in caso di rottura. Infatti, non solo gli specialisti del settore si sono ormai accorti di quanto costi realmente un divorzio. Sul piano economico ma anche, e soprattutto, esistenziale. Anche le persone più sprovvedute, vedendo accanto a sé l’esperienza sempre più frequente di tanti separati e divorziati, si sono rese conto di come un matrimonio fallito possa ridurre le persone in mezzo a una strada. Perché si perde la casa. Si perde la possibilità di veder crescere i propri gli. Si perdono il lavoro e i risparmi.
Il divorzio, quello vero e non simulato, è la più grande e misconosciuta tragedia sociale dei nostri tempi. Anche per questo, oggi i più giovani spesso preferiscono non sposarsi nemmeno. Fanno così perché sanno di non potersi più dare l’uno dell’altra.
La legge, i giudici, tutto l’ambiente in cui viviamo, non pongono più alcun argine alla futura possibilità di divorziare. Se uno dei due coniugi lo vorrà, non troverà nessuno che cerchi, se non di dissuaderlo, almeno di mettergli qualche limite. Non gli verranno nemmeno chiesti i motivi. È il trionfo del desiderio individuale, che basta e avanza per porre ne al proprio matrimonio. Oggi è impossibile chiedere conto del fatto che, quando ci si era sposati, si era preso un impegno serio. Se un coniuge tentasse di far presente al giudice che lui non è mai venuto meno alle sue responsabilità, e vorrebbe che anche il suo partner tenesse fede agli impegni presi, rischia di vedersi ridere in faccia sia dal magistrato che dagli avvocati.
Pertanto, l’unico modo di far sopravvivere l’impegno nuziale è tornare a potersi fidare l’uno dell’altra. Occorre qualcosa che possa tornare a garantire la ducia. Poiché lo stato ha abdicato a questo compito, il matrimonio si può salvare solo se sussiste un’istanza superiore alla quale appellarsi. Tant’è che, dicono le statistiche, i matrimoni religiosi tendono ad avere un’aspettativa di durata nettamente superiore a quelli celebrati dal Sindaco. È la grazia sacramentale, certo, che opera anche quando la gente non se ne accorge. In questi casi la fede serve più della ducia. Ed ecco perché, in conclu- sione, mi viene in mente quell’articolo del quale dicevo all’inizio. Lo scrisse il beato Antonio Rosmini nel 1852, commentando il fatto che il Lombardo-Veneto stava per introdurre il matrimonio civile, indipendente da quello religioso. Scrisse Rosmini che se si toglieva al matri- monio la base religiosa, esso avrebbe nito per posare su un terreno troppo «[...] liquido, insicuro, condizionato dagli umori delle maggioranze di turno». Profetizzò che in quel modo sarebbe venuto il giorno nel quale le coppie avrebbero nito per dire: «Ma che bisogno c’è di sposarsi, non possiamo convivere e basta?».
Questo venne scritto nell’anno del Signore 1852. Insomma, c’è chi aveva capito tutto con largo anticipo. Basterebbe trovare il modo di tornare a dargli voce.
Massimiliano Fiorin
Fonte: articolo pubblicato sulla rivista Notizie ProVita di aprile 2016, pp. 17-18