17/12/2020 di Manuela Antonacci

Meluzzi sui manifesti contro la pillola abortiva: «Raccontano la verità di un dramma angosciante»

L’ultima campagna di Pro Vita & Famiglia che ha lo scopo di illustrare i pericoli legati all’assunzione della Ru486, per la mamma e il suo bambino, ha incontrato il favore di diversi medici, psicologi e psichiatri che, come in questo dialogo con il professor Alessandro Meluzzi, hanno sottolineato il rischio di una grave, potenziale banalizzazione di un evento traumatico come l’aborto, presentando l’assunzione della pillola come un sistema facile e veloce e quasi “indolore”

 

Cosa ne pensa della campagna di Pro Vita & Famiglia?

«Penso che l’immagine sia molto illuminante e corrisponda, anche per logica alla realtà delle cose. La Ru486 è una sostanza che uccide il feto nel corpo della madre e, naturalmente, provocandone poi l’espulsione, produce una grave mestruazione di natura endocrino-ginecologica nella donna. Certamente non è la panacea universale né dal punto di vista sanitario né dal punto di vista morale. In quest’ultimo caso perché contribuisce a rendere l’aborto un evento ancora più banalizzato e non va nemmeno nella direzione della legge che disciplina l’interruzione di gravidanza che prevedeva un momento di riflessione, di aiuto, di sostegno alla maternità. Tutte cose che, tra l’altro, non sono solo buone e giuste ma sarebbero indispensabili di fronte ad una vera e propria estinzione della specie, della nostra cultura, della nostra civiltà. Oggi la denatalità è fra tutti il principale problema e quindi lavorare per la denatalità come se fosse una cosa santa e buona è un danno grave alla vita umana che si accende, dal punto di vista storico, culturale, identitario».

Nell’immagine utilizzata per le affissioni abbiamo voluto rappresentare la pillola abortiva come una sorta di mela avvelenata. Cosa ne pensa dell'accostamento Ru486-Veleno?

«Penso che sia un’immagine calzante, garbata, manifesta semplicemente la realtà dei fatti»

Ci sono dei pericoli legati all’assunzione della pillola del giorno dopo, per lo più in questo caso vissuti in completa solitudine, dalla donna. Vogliamo parlare anche delle ripercussioni psicologiche legate a tutto questo?

«Io sulle ripercussioni psicologiche posso dire una cosa, peraltro faccio lo psichiatra e lo psicanalista da tanti anni. Posso dire che ho conosciuto delle donne che, quando ero un giovane medico, mi raccontavano della loro interruzione di gravidanza. Ecco, non ho mai visto una sola donna, anche a distanza di 40- 50 anni dall’evento, che non avesse una percezione di quel ricordo come un’angoscia che le provocava ancora il pianto. Non ho mai conosciuto nessuna donna che avesse vissuto quegli aborti come fatti gratificanti, belli, gioiosi e non invece come drammi, come invece è per la donna.  L’aborto è un dramma per la donna che lascia spesso delle sequele di angoscia. D’altro canto non ho mai conosciuto nessuna donna che ricordasse un proprio mancato aborto per un progetto di aborto rientrato e seguito da una nascita, che non ricordasse questo fatto, invece, come un evento provvidenziale. L’arrivo della vita è sempre nella vita della donna nella stragrande maggioranza delle situazioni, un premio. Non ho mai conosciuto nella mia esperienza, una donna pentita di aver messo al mondo un figlio».

Si pensa che la pillola abortiva sia una sorta di “male minore” rispetto all’aborto chirurgico, è così?

«L’aborto chirurgico è anch’esso un dramma ovviamente: vedersi aspirar un bambino e buttarlo nel tritarifiuti dell’ambulatorio, non è proprio un’esperienza gratificante. Non vogliamo ovviamente fare una graduatoria degli orrori, sarebbe anche improprio. Io direi che sarebbe bello che si lavorasse soprattutto perché l’aborto come piaga fosse prevenuto, dando alle donne la possibilità di scegliere. Perché invece nella stragrande maggioranza dei casi, la donna subisce l’aborto come una dolorosa necessità».

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