Foto e scritte con chiare allusioni falliche e vaginali. No, non stiamo parlando di manifesti pornografici, non ufficialmente almeno, bensì di quelli apparsi nella metropolitana di Milano per accompagnare il lancio dell’uscita, in programma oggi sulla piattaforma Netflix, della terza stagione di Sex Education. Si tratta di una serie, come noto, che ha come protagonisti alcuni ragazzi liceali alle prese con la scoperta della propria identità sessuale e le prime esperienze; di qui, il nome Sex Education.
Dalle anticipazioni trapelate, nella terza serie uno dei protagonisti inizia a vivere esperienze di sesso occasionali, un’altra scopre il femminismo, un’altra ancora è alle prese, ancorché molto giovane, con la crescita di un bambino. Il filo rosso della serie, insomma, continua ad essere una sessualità vissuta senza limiti; il che già pone evidenti perplessità sulla sua effettiva portata educativa. Ma torniamo ai manifesti apparsi nella metropolitana meneghina dove, come si diceva, allusioni e ammiccamenti sessuali si sprecano.
Le immagini, come si suol dire, parlano difatti da sole. Ognuna di esse gioca su un’ambiguità, accompagnata dalla seguente scritta: «Se la vediamo in forme diverse, è perché non ce n’è una sola. Ognuna è perfetta. Anche la tua». Tale frase, ogni volta, ricorre accanto a vari frutti, tra cui l’immancabile banana. Ora, è accettabile tutto questo? Evidentemente sì, figuriamoci. Se infatti solo si osa sollevare rilievi sull’opportunità di simili manifesti, ecco che si passa per bigotti, oscurantisti e medievali.
Tuttavia, al di là di ciò che è conveniente dire o meno, è indubbio come una ipersessualizzazione delle pubblicità e dei manifesti un problema lo pone; e non solo in termini di cattivo gusto, bensì proprio concettuali: è forse una «educazione sessuale», questa? Ha senso chiederselo, dato che la serie che questi manifesti promuovono si chiama appunto Sex Education.
Ebbene, la risposta pare possa essere solo una, e cioè quella negativa. La già citata ipersessualizzazione – in questo caso veicolata con una genitalizzazione delle immagini – di educativo pare avere ben poco. A meno che, ovvio, non si consideri educativo l’abbattimento di ogni freno e di ogni criterio di decenza, ma in quel caso sarebbe bene intendersi, allora, su quale sia il senso della parola educazione.
La sensazione è infatti che, per la verità ormai da decenni, l’«educazione sessuale» altro non sia, a livello pratico, che una disinvolta familiarizzazione con i propri genitali e, ovviamente, con la contraccezione. Il che non pare portare molta fortuna dato che, stando all’Europa, il dato che emerge è quello di malattie sessualmente trasmissibili in aumento e, per di più, concentrate proprio in questi Paesi che sull’«educazione sessuale» hanno puntato di più. Il che dovrebbe sollevare qualche allarme o almeno qualche riflessione.
Tuttavia, finché avranno successo e pubblicità serie dai contenuti almeno ambigui come Sex Education - e finché si accetteranno come normali i manifesti apparsi alla metropolitana di Milano -, la strada per un’autentica riscoperta di un’educazione (sessuale e non) degna di questo nome, si conferma essere ancora lontana. Anche se questa non è, ovviamente, una buona ragione per rassegnarsi né per ignorare messaggi che sono e restano profondamente diseducativi.