Vanno sempre più di moda cosmetici, smalto e belletto per “uomini”... Chi non si adegua rischia di essere tacciato di maschilismo e di violenza per il solo fatto di essere maschio.
In questo momento di grande confusione, in cui la realtà dell’essere uomo o essere donna pare essere un’opinione, e non più un dato biologicamente certo e determinato, occorre fermarsi e mettere il focus sulla realtà: maschi e femmine si nasce, non si diventa. Ma è pur sempre vero che un maschio ha bisogno di una vita per diventare uomo e una femmina altrettanto per diventare donna e, oggi più che ieri, questo processo di conquista di sé è sempre più difficile. Ne abbiamo parlato con lo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini, grande esperto del mondo maschile.
Dottor Marchesini, ormai una decina di anni fa dava alle stampe Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità (SugarCo). Il titolo, o meglio ancora il sottotitolo, parlano da soli: oggi la situazione è migliorata o ulteriormente peggiorata?
«Beh, complessivamente direi che è ulteriormente peggiorata. Nel frattempo ha cominciato a circolare l’idea di una “virilità tossica”; c’è una forte pressione perché gli uomini abbandonino il loro silenzio e “imparino a esprimere i loro sentimenti” (come se fossero incapaci e non fosse una scelta); perché piangano (cioè retrocedano la ragione a serva delle passioni). Più recentemente, i media cominciano a spingere gli uomini a truccarsi e a dipingersi le unghie: ci sono linee cosmetiche dedicate agli uomini e non mancano i testimonial (Fedez, per esempio)».
Che cosa s’intende con il termine virilità?
«Le lingue mediterranee hanno, in genere, due parole per indicare gli esseri umani di sesso maschile. In latino, per esempio, abbiamo homo, la persona di sesso maschile; e vir, che indica l’uomo compiuto, da cui virilità (essere un uomo pienamente realizzato) e virtù. La stessa cosa in greco, lingua nella quale esiste la parola anthropos (di nuovo, essere umano di sesso maschile) e aner, l’eroe (cioè il destino di ogni maschio), da cui il nome Andrea e la parola andreia (coraggio). In italiano c’è maschio, riferito semplicemente al sesso; e uomo, che indica - come in latino - l’uomo compiuto, realizzato. La parola virilità indica quindi il compimento del progetto affidato, al momento del concepimento, ai maschi: diventare eroi, virtuosi».
Nel suo testo scrive che la virilità è strettamente collegata all’identità: l’uomo non sa più chi è. Un discorso alquanto controcorrente nel marasma della fluidità sessuale odierna... chi è l’uomo? Cosa lo contraddistingue?
«Basta osservare un uomo e confrontarlo con una donna per capire che tutto, in lui, indica che è stato progettato per essere un guerriero, per sacrificarsi, per difendere: l’altezza, il peso, la forza, la velocità… anche la sua competitività, che emerge fin da bambino, ci fa capire che l’uomo è nato per combattere. Poi abbiamo l’importanza del lavoro per l’uomo: è la conseguenza della maledizione biblica conseguente al peccato originale, «col sudore della fronte guadagnerai il pane». A lui è affidato il compito del sostentamento, compito che gli chiede sacrificio e fatica. Per portare a termine questi compiti, all’uomo - rispetto alla donna - è stata data una virtù particolare strettamente collegata alla sua autostima: la virtù della fortezza (in italiano corrente: il coraggio), necessaria per svolgere i compiti che gli sono affidati».
Accertato dunque che il problema della virilità esiste, perché a suo avviso è importante per tutti - singoli, coppie, figli, società nel suo complesso - che l’uomo torni a essere uomo?
«Molto semplice: se manca qualcuno disponibile a sacrificarsi per proteggere, chi difenderà i deboli? Se manca qualcuno disponibile a usare la forza, chi si opporrà alla violenza? Chi sarà disponibile a compiere i lavori più faticosi e pericolosi?».
Alcuni suggerimenti pratici per gli uomini di oggi?
«Il primo suggerimento è quello di affrontare tutto con pazienza e perseveranza, in altre parole: con gradualità. So che la società spinge per il “tutto e subito”, ma le cose importanti si conquistano, in modo definitivo, solo un passo per volta. Poi è utile impegnarsi nelle amicizie maschili: troppo spesso consideriamo l’amicizia come un passatempo, mentre è un nutrimento fondamentale. Consiglio inoltre di praticare uno sport (non del fitness) per esercitare la virtù della fortezza. Poi: essere sinceri, senza curarsi né delle conseguenze, né della reputazione; affrontare le paure; non giustificarsi e non chiedere conferme; non autocommiserarsi. Evitare le amicizie femminili e, se è il caso ed è possibile, sviluppare un buon rapporto con il proprio padre».
Accanto al lavoro di riconquista del maschile che spetta di certo agli uomini, cosa possiamo fare noi donne?
«Spesso, quando si affronta il tema della crisi della virilità, qualcuno commenta: «Le donne hanno occupato tutti gli spazi maschili», «le donne vogliono avere un ruolo maschile», eccetera. Beh, credo che un uomo, tra le altre cose, debba assumersi la responsabilità delle proprie mancanze senza dare la colpa ad altri, per esempio alle donne. Le donne occupano spazi che gli uomini lasciano liberi, tutto qui. Gli uomini si preoccupino di fare il proprio dovere. Se proprio proprio, le donne vogliono dare un contributo alla loro battaglia, facciano quello che Rocky, nel celebre film, chiede alla fidanzata: “Adriana… scusa… io non ti ho mai chiesto di smettere di essere una donna. Per favore, te lo chiedo per favore, non mi chiedere di smettere di essere un uomo”».
Da ultimo, ma non per importanza, la fede: quanto e come incide nell’essere uomini e donne “a immagine e somiglianza di Dio”?
«Giovanni Paolo II nell’enciclica Mulieris Dignitatem (1988) scrive che Maria è l’archetipo della donna e Cristo il paradigma e l’esemplare degli uomini-maschi. Alle donne, Dio ha affidato in particolare la virtù della grazia (Maria, infatti, è «piena di grazia»), simboleggiata dalla bellezza esteriore; agli uomini, la virtù della fortezza, simboleggiata dalla forza fisica. Questo indica caratteristiche specifiche e un cammino particolare che la società - guarda caso - vuole negare».
A cura di Giulia Tanel, già pubblicata sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 119 – Giugno 2023