26/10/2014

Nel nome di chi non può parlare. L’ aborto spiegato con la voce di un embrione

 “Sono figlio, / sono giglio, / madre, / padre, / bulbo suo / bulbo vostro! / Sono carne, / padre, madre! / Grido, canto! / Sono carne, / sono mente, / ossa, luce! / Grido lieto: / sono cuore, / sono vita, / forma sono, / sono feto!”

Pungenti, commoventi, unitari pur nel loro essere frazionati, sconvolgentemente prolife... questo e molto altro sono i quattordici atti che costituiscono il monologo Factum est, composto nel 1981 dall’importante, ma controverso intellettuale Giovanni Testori. “Factum est è il monologo di un feto – scrive Fulvio Panzeri – che chiede di venire alla luce e s’incarna nella sua stessa parola senza corpo. Nel grembo balbetta, strascica le parole, fino a che la voce si fa più percettibile, articolata, chiedendo una salvezza per sé e una speranza per la madre e per il padre che lo vogliono rifiutare”.

Al momento della pubblicazione di Factum est il critico letterario Carlo Bo scriveva sulle colonne del Corriere della Sera: “Un altro scrittore avrebbe scartato il tema che un secolo di naturalismi ha abbondantemente sfruttato. Testori si comporta in modo diverso e lo rimette nel grande lago delle questioni capitali, lo fissa nel lungo contraddittorio fra vita e morte; anzi fa di più, lo inietta nel corpo umano. Di un’idea ne fa una creatura, la creatura per eccellenza, la creatura dotata di parola e che si serve della parola per rivendicare il proprio diritto alla vita e per istituire un processo fatto soprattutto di pietà a chi ha deciso di negargli il momento della nascita, meglio il suo inserimento nella sterminata famiglia degli uomini. [...] il feto di Testori si serve della parola per esaltare la verità, noi ce ne serviamo per nasconderla, per giustificarci, per ingannare i nostri rimorsi”.

“Me e te? / Senti, madre? / Sono in te... / Tocca ventre, / tocca te, / sono me.

[...] Grido a te: / luce è, / carne, sangue / forma in te!”

“Per lui sono / goccia-vita / nelle gocce senza dita, / senza mani, senza vita! / Ma è vita, / più che vita, / è infinita / morsa ardita”

La vita ha inizio con il concepimento; nel momento dell’incontro tra ovulo e spermatozoo prende forma una nuova persona, speciale nella sua unicità: “Già mi formo, / uguale a te, / faccia uguale / anche se cieca, / bocca uguale / anche se muta”.

In Italia, nell’arco di trentaquattro anni, il dramma dell’ aborto – regolamentato dalla legge 194/78 denominata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” – ha comportato l’uccisione nel grembo materno di 5 milioni 438mila e 878 bambini.

“Ascolta, / madre cara: / sarai culla? / sarai bara?”

“Tu la vita, / padre, / ami?”

L’ aborto impedisce ogni giorno a tanti piccoli uomini e donne indifesi e senza colpa alcuna di affacciarsi al mondo. Viene così soffocato un silenzioso e legittimo urlo che manifesta un immenso desiderio di vita.

 

“Senza mani, / senza voce, / senza peso. / Puoi schiacciarmi, / puoi pestarmi, / soffocarmi. / Puoi strozzarmi.

[...] Qui senz’armi / e piccolino / puoi schiacciarmi; / tuo bambino / qui indifeso / puoi strozzarmi, / ma nel niente / ormai rendermi / non puoi. 

L’ aborto non è indolore. Non lo è di certo per il bambino, ma non lo è neanche per sua madre, per suo padre e per tutte le persone a loro affettivamente vicine. È un dramma che rimane impresso per tutta la vita, in maniera più o meno cosciente e appariscente nelle diverse persone.

Senza scorte / la coscienza / sarà scienza / d’assassinio. / Senza pace, / senza senso, / ombra sempre, / tu avrai, / sempre vuoto, / in te sterminio”

Il bambino è inerme di fronte alla scelta della madre e del padre e il suo grido silenzioso è relegato al loro barlume di coscienza, che potrà esserci come no: “[...] pietà / invoco / e attendo”.

Giulia Tanel

 

Blu Dental

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