Quando la propaganda si fa seria, la neolingua imperversa anche sul web, fino al punto di sostituire automaticamente le espressioni da “censurare“: LifeSiteNews informa che una nuova estensione di Google Chrome può trasformare l’espressione ‘pro-life’ in ‘anti-choice’ (anti-scelta).
Alla faccia di Orwell e del suo 1984.
Qui è possibile vedere come funziona l’estensione (l’App) pubblicata questa settimana.
Se siete “stanchi di vedere in continuazione l’espressione ‘pro-life’, usata arbitrariamente e in modo non corretto, abbiamo concepito di questa estensione per fare in modo che il linguaggio sia più preciso”, dice la spiegazione online dello strumento “scelta del linguaggio”.
L’estensione è stata creata da un attivista che vuole rimanere anonimo, che ha collaborato con l’Istituto Nazionale per la salute riproduttiva Action Fund [NIRHA]: la lingua – quando si discute di aborto – è importante...

A quanto pare gli abortisti non possono neanche sopportare di vedere le parole e le frasi con cui non sono d’accordo. E, per non turbare questa loro sensibilità, arrivano all’ipocrisia più pura: dicono che è più corretto chiamare “pro-life” con il termine “anti-scelta”, in quanto l’unica aspirazione dei suddetti pro-life sarebbe quella di negare alle donne la libertà di scelta.
Capito? E se oltre la scelta della madre, volessimo sentire anche qual è la scelta del padre? E se potessimo chiedere anche al bambino se vuole essere ucciso o meno? E magari sentire anche il parere degli eventuali fratelli e sorelle o nonni e nonne del nascituro?
Inoltre l’App sostiene che il termine pro-life, utilizzato per definire coloro che si oppongono diritto della donna di decidere cosa è meglio per il proprio corpo, si puntella su questioni retoriche e religiose. Il termine ‘pro-life’ è perciò – secondo loro – impreciso. E’ un potente strumento nella lotta contro il diritto alla salute delle donne, in quanto serve a demonizzare gli individui che sono pro-choice, suggerendo l’idea che nel loro sostegno al diritto della donna di scegliere cosa è meglio per la propria vita, essi siano in qualche modo contrari alla vita e favorevoli alla morte. Ma quindi l’aborto non comporta la morte di nessuno? Il bambino cos’è? Non c’è vita nel grembo della donna che abortisce?
Se questo non bastasse, Google offre un prodotto che è possibile installare sul proprio browser e che permetterà di modificare l’espressione ‘pro-life’ in tutti i contesti. Quindi cambierà la dicitura originale in un post, in un articolo, in un documento... i quali rimbalzeranno sulla rete così modificati anche nell’originale, a prescindere dalla volontà del legittimo autore, titolare del diritto morale (se non patrimoniale) del pezzo in questione.
Qualcuno dovrebbe tuttavia chiarire se questo sia ammissibile da un punto di vista legale, della libertà di espressione, ecc. (senza contare che sarà verosimilmente rovinato lo stile letterario dei testi modificati, in quanto le espressioni ‘pro-life’ e ‘anti-scelta’ non sono esattamente equivalenti, da un punto di vista stilistico).
Insomma, se queste App di Google prenderanno piede, ne potremo vedere delle belle. La propaganda potrà sostituire tutte le espressioni ‘sgradite’, come venditore di gameti (saranno sempre e solo donatori), utero in affitto (sarà sempre e solo gestazione di sostegno), fecondazione artificiale (sarà sempre e solo procreazione assistita), bambino (sarà sempre e solo prodotto del concepimento)...
Chissà, magari poi un giorno – forse neanche troppo lontano – al posto della parola mamma leggeremo l’espressione ‘concetto antropologico’, oppure ‘fornitrice di materiale biologico’?
Francesca Romana Poleggi