Rachele Mimì Sagramoso è membro dell’Associazione nazionale famiglie numerose, sposa, mamma e ostetrica e ha voluto coniugare le sue esperienze e competenze professionali con una sua grande passione: la pedagogia. Da una serie di confronti avuti con tante persone e realtà che vivono e si occupano di famiglia, matrimonio e genitorialità, è nato il suo libro “Non avere paura mamma, sfida a vincita certa”, edito dalla Tau Editrice e con la prefazione di Maria Rachele Ruiu, dove insieme a contributi importanti come quello dell’esperta di antropologia filosofica Cristina Tamburini (solo per citarne una), ha cercato di dare consigli a tutte quelle donne che vorrebbero approcciarsi alla maternità, o che sono già mamme, sfatando quei piccoli luoghi comuni che spesso oscurano la bellezza della maternità, facendola sembrare un peso anziché un’opportunità di realizzazione e crescita umana. Abbiamo rivolto alcune domande all’autrice.
Come nasce il libro e di cosa parla?
«Ho cominciato a scrivere dopo aver conosciuto diverse realtà che si occupano di famiglie, ho aperto un blog dove ho riscontrato che alla fine le domande sulla genitorialità sono sempre le stesse, e siccome io non sono né una studiosa né un’accademica, ma una persona che ha sempre sbagliato, mi sono detta: se racconto i miei errori magari altri non li fanno oppure se li fanno si rendono conto che sono sempre recuperabili. Il libro parla proprio di questo, partendo dall’assunto che siamo tutti “famiglie di famiglie”, ed essendoci ormai dei legami familiari figli di generazioni, che hanno messo tanto in dubbio la famiglia stessa, cerchiamo comunque di venirci incontro tra persone che vivono le stese cose, gli stessi drammi, le stesse gioie, le stesse speranze, condividendole e andando avanti. Il libro nasce così e parla genericamente di piccole situazioni che i genitori si trovano a vivere nel quotidiano».
Quali sono le risposte che la politica dovrebbe dare alle esigenze delle madri, in generale, delle famiglie?
«A me piacerebbe che i politici leggessero il capitolo sull’economia della famiglia, proprio ora che siamo in campagna elettorale. Quando di solito si chiede aiuto alla politica si pensa sempre a più soldi, come se le famiglie fossero un adolescente che aspetta la sua paghetta mensile, mentre invece la politica dovrebbe innanzitutto ascoltare le famiglie per capirne le esigenze reali. Le faccio un esempio: io al Ministero dell’Istruzione vorrei vedere una persona che ha insegnato, che ha avuto a che fare con bambini d.s.a., non un burocrate. Vorrei che la politica permettesse alle famiglie di scegliere l’istruzione più consona per i loro figli, non necessariamente la scuola statale vicino casa. Vorrei una legge sulla maternità che rispetti la “figliologia” e non parta dall’assioma che il bambino debba stare lontano dalla madre perché quest’ultima deve tornare al lavoro con orari non flessibili rispetto alla sua condizione, una legge che ti dice di lasciare un figlio a tre mesi dopo il parto e ti dà come unica soluzione l’asilo nido fa schifo. Una delle conseguenze di questa mancanza di assistenza è che molte donne, dopo il primo figlio, sono spaventate e decidono di non averne un secondo. Vorrei che lo Stato si occupasse del parto e del post-parto anche rivalutando figure professionali come la doula»
Qual è il messaggio principale che vuole trasmettere con questo libro?
«Vorrei dire alle mamme e alle donne in generale che è vero che è tutto molto faticoso, ma è tutto ancora più infinitamente bello e soprattutto tu ce la puoi fare! Hai una forza enorme che è addirittura più grande del tuo istinto materno, le mamme lo sanno fare e lo possono fare. Chiedi aiuto e sostengo, dona aiuto e sostengo e andrà tutto bene!»
Secondo lei oggi la maternità è culturalmente vista con diffidenza?
«Non è vista con diffidenza, è vista male. C’è un pregiudizio enorme nei confronti della maternità che nasce da una narrazione distorta di quella che era la maternità di un tempo, di queste donne relegate in casa prive di libertà. Penso al caso di Franca Viola che fu la prima donna a ribellarsi al matrimonio riparatore, ecco c’è una narrazione che tende ad enfatizzare queste situazioni come fossero la norma culturale che si cela dietro la famiglia e la maternità. Ad oggi si assiste al paradosso di essere passati da un eccesso all’altro, dalle donne chiuse in casa alle donne che devono partorire e dopo tre mesi tornare al lavoro e mollare il figlio a qualcuno, andando contro la normale fisiologia della nascita e della crescita dell’essere umano. Bisognerebbe riscoprire il valore sociale e culturale della maternità».