In Nuova Zelanda è un’associazione di lesbiche che denuncia il nuovo disegno di legge che mira a rendere più facile per le persone cambiare il “gender” sul loro certificato di nascita. La riforma metterà in pericolo donne e ragazze, secondo la Lesbian Rights Alliance Aotearoa (LRAA). In effetti siamo di fronte a un passo ulteriore nell’avanzamento dell’ideologia gender: come ha spiegato Brett Hudson, presidente della commissione responsabile del progetto, si tratterebbe di allineare tutti i documenti più importanti con valenza pubblica che riportano i dati sul sesso del cittadino: adeguare perciò anche i certificati di nascita a quanto risulta da passaporti, carte d’identità e patenti di guida. Così il quadro anagrafico sarà completo.
Allo stato attuale, la legge neozelandese richiede di sottostare all’onere della prova per cambiare il sesso legale, passando per un processo dinanzi alla Family Court così da impedire gli abusi. Il passaggio alla compilazione di una semplice statutory declaration (l’equivalente del nostro atto di notorietà) è eccessivo, sostiene la LRAA: «La raccomandazione della commissione scelta di rimuovere tutti i meccanismi di sicurezza dal processo legale di cambiamento del sesso mette in pericolo donne e ragazze, non è un problema di sinistra-destra, è un problema del tipo “ti preoccupi della sicurezza delle donne?”». Questa innovazione renderebbe impossibile per le donne mantenere il diritto a spazi, servizi e disposizioni normative riservate alle donne perché ogni maschio potrebbe semplicemente dichiarare di essere femmina e avere tutti i diritti di usufruirne.
Inoltre, tra le altre cose, dichiara la LRAA: «questa mossa mette a repentaglio la sicurezza delle donne nelle carceri»; e in proposito abbiamo visto recentemente cosa è accaduto in Inghilterra proprio per la superficialità delle autorità da questo punto di vista. Intanto abbiamo un altro segnale, dietro lo schermo degli “abusi”, di quanto l’universo LGBT sia in realtà sempre più caotico e frammentato, colmo di lotte intestine tra le categorie proprio nell’applicazione dell’ideologia del gender. Del resto un transgender che non volesse castrarsi, può usufruire dei servizi riservati al “gender” che in lui “prevale”. Chi lo stabilisce? Il diretto interessato, naturalmente. Potrà cambiare nel tempo? Per forza, se il criterio è soggettivo dipende dalle variazioni del soggetto. Insomma pare che a una porzione del mondo omosessuale (soprattutto femminile) tutto questo non sia gradito. Eppure partono tutti dalle stesse identiche premesse: “io sono ciò che voglio”…
Vincenzo Gubitosi
Fonte:
NZHerald