Zingaretti aveva inferto un duro colpo all’obiezione di coscienza (e all’art. 2 della nostra Costituzione).
Zingaretti, Presidente della Regione Lazio, aveva emanato un provvedimento con cui negava il diritto all’obiezione di coscienza in quanto obbligava tutti i medici impiegati nei consultori a rilasciare il certificato di aborto.
Pubblichiamo il comunicato stampa del Movimento per la Vita che è stato uno dei ricorrenti al Consiglio di Stato contro detto provvedimento antidemocratico e liberticida.
“A seguito del ricorso del Movimento per la vita e delle associazioni dei medici e dei ginecologi cattolici, il Consiglio di Stato ieri (6 febbraio) ha sospeso l’efficacia del provvedimento con il quale il presidente della Regione Lazio nella qualità di commissario governativo obbligava anche gli obiettori di coscienza impiegati nei consultori pubblici a rilasciare il certificato necessario ad effettuare l’Ivg.
«Va sottolineata l’importanza di questa decisione, sebbene pronunciata in sede cautelare e non definitiva» commenta Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita «sia perché interviene in una antica diatriba, sia perché sottolinea l’importanza costituzionale dell’obiezione di coscienza.
«Il provvedimento peraltro non ha concesso la sospensiva riguardo ad un’altra parte del provvedimento Zingaretti, quella in cui si fa obbligo agli obiettori impiegati nei consultori di prescrivere la pillola del giorno o dei cinque giorni dopo. I giudici non hanno affermato con certezza il carattere non abortivo di questi prodotti ma si sono unicamente rifatti ai documenti delle agenzie preposte al controllo dei farmaci europee e nazionali. Vuol dire che la documentazione prodotta dal Movimento ha instillato il dubbio nel Consiglio di Stato.
«Cio’ significa che se saranno dimostrati gli effetti abortivi di queste sostanze, come del resto già risulta da uno studio attento degli stessi documenti ufficiali, l’obiezione di coscienza potrà essere completamente ripristinata. Una prima reazione è attesa dal Tar del Lazio» conclude Casini «a cui ora il processo ritorna per un ulteriore approfondimento».
Daniele Nardi