Nota dell’editore: Questa è la seconda di una serie di rubriche dedicate alla confutazione delle più comuni argomentazioni avanzate in favore dell’aborto. La rubrica si inserisce nella selezione dei migliori articoli apparsi dal 1973 ad oggi sul National Right to Life News, che riproponiamo in occasione del quaratesimo anniversario del “caso Roe”. Il seguente articolo è apparso per la prima volta nel numero dell’11 febbraio 1998.
La premessa dell’argomentazione abortista per cui la donna deve avere il diritto di disporre del proprio corpo fa capo alla tesi secondo cui sarebbe ingiusto “costringere” la madre a portare avanti la gravidanza. Pertanto la decisione se far vivere o morire il suo bambino dovrebbe spettare unicamente a lei.
Secondo questo ragionamento sarebbe ingiusto richiedere alla madre di portare a termine la gravidanza perché ciò la costringerebbe ad abbandonare la scuola, a troncare la carriera lavorativa, a soffrire per il resto della vita il dolore di non poter conoscere il suo bambino nel caso venga dato in adozione dopo la nascita, oppure vedersi additata come ragazza madre, e così via con altri scenari negativi.
Oltre a queste recriminazioni, i sostenitori di questa tesi rivendicano per la madre il “diritto” alla privacy, il “diritto” di scegliere, il “diritto” all’equa protezione legislativa (principio presente nella costituzione statunitense): tutti questi diritti alla fine conducono al “diritto” all’aborto.
Ad esempio il diritto alla privacy, sempre secondo la tesi abortista, permette alla donna di prendere decisioni liberamente in privato, senza alcuna imposizione di qualsivoglia “Grande Fratello”.
Seguendo questo ragionamento si conclude che è in forza di questa presunta “libertà di scelta” che la donna può finalmente competere ad armi pari con l’uomo.
Ciò che maggiormente sorprende del ragionamento descritto poco sopra è la conclusione per cui una donna incinta ha nell’uccisione del suo bambino l’unico mezzo per raggiungere un obiettivo. E ciò che è ancora più incredibile è che alcune donne cadono nella trappola di questo ragionamento pretestuoso, e lottano concretamente per far riconoscere la possibilità di eliminare legalmente il figlio non ancora nato come un “diritto” da rivendicare!
Quale ragionamento sottende la tesi abortista? I sostenitori dell’aborto ritengono che sia meno importante la vita di un essere umano (il bambino non nato) rispetto al cosiddetto “diritto” di vivere per la madre senza la condizione transitoria (nove mesi) della gravidanza. Ne risulta che una condizione temporanea e gli eventuali disagi ad essa correlati siano motivi sufficienti per poter disporre del diritto alla vita del bambino.
Quando si arriva a questo punto, è bene ricordare che su questa strada viene minacciato il diritto alla vita di ognuno, in quanto chi dovrebbe vivere e chi dovrebbe morire diventa oggetto di una scelta completamente arbitraria.
Ora concentriamo la nostra attenzione sulla tesi secondo cui “ogni donna ha il diritto di disporre del proprio corpo”.
Certamente ella ha il diritto di controllare l’uso del suo braccio, scegliendo se muoverlo oppure no. Ad ogni modo questo diritto ha un limite, quando ad esempio il suo braccio si avvicina alla punta del mio naso.
Lei potrebbe anche avere il diritto di gridare a squarciagola che il film “Titanic” non le piace, ma non può avere il diritto di gridare senza motivo “Fuoco!” in una sala cinematografica piena di gente. La ragione e la storia ci insegnano che quanto meno proteggiamo i diritti altrui, tanto prima i nostri diritti non verranno riconosciuti.
E’ da notare inoltre come ricorra spesso tra i sostenitori dell’aborto una concezione del feto come un qualcosa che non vive; o, più specificamente, essi sostengono che nessuno conosce quando la vita umana inizia davvero.
Nel rispondere a questo tipo di argomento è essenziale ribadire chiaramente che la decisione su una gravidanza riguarda due esseri umani distinti (la madre e il bambino) e questo non è basato su opinioni personali, bensì su fatti scientificamente accertati. Un numero sorprendentemente alto di persone si è convinto che il feto non sia un essere umano autonomo, unico e irripetibile, e pertanto spostano tutta l’attenzione sulla madre.
Privato della sua esistenza individuale, il bambino è ridotto a un problema da eliminare. Come rispondere a questo?
Ricorda anzitutto al tuo interlocutore che il bambino non nato è il più piccolo e l’ultimo arrivato tra noi, e pertanto è il più vulnerabile. A supporto del concetto della natura umana del feto porta qualche elementare dato di embriologia. Questo piccolo essere umano ha un cuore che batte a 18 giorni dal concepimento, insieme a manine e piedini.
La definizione genetica di come è adesso e sarà – il colore degli occhi, dei capelli, quanto alto diventerà – è precisamente definita dal momento del concepimento. Pertanto, in ogni aborto un essere umano indifeso muore.
Nell’ambito di questa argomentazione è possibile portare l’attenzione sull’aspetto meno conosciuto e compreso del dibattito sull’aborto: le conseguenze dell’aborto sulla madre, “prigioniera” di tale scelta. Occorre rimarcare il fatto che le donne nella maggior parte dei casi prendono la decisione di abortire senza adeguate informazioni circa la loro gravidanza e le possibilità di assistenza loro dedicate negli oltre 3000 centri di aiuto alla vita sparsi nel paese.
Noi dobbiamo aiutare le persone a capire che le donne non possono decidere davvero liberamente se non hanno nemmeno il diritto o la possibilità di conoscere tutta la verità prima di giungere a decidere. Anche i pro-choice dovrebbero avere a cuore che la scelta di cui parlano sia adeguatamente informata, soprattutto in un ambito come questo.
A tal proposito, è necessario denunciare che i tentativi di fornire un’informazione scientificamente accurata per ogni donna circa i rischi dell’aborto, le possibili alternative e lo sviluppo embriologico del bambino sono sistematicamente ostacolati. Questo rappresenta un grave insulto all’intelligenza delle donne.
Come donne, crediamo che probabilmente il crimine peggiore commesso a danno delle donne legalizzando l’aborto sia l’imposizione dell’idea per cui la nostra prerogativa di generare bambini rappresenta per noi una sorta di “punizione” o “fallimento”. Questa idea ha inculcato in tre generazioni di donne il rifiuto a tutti i costi dei loro figli se vogliono evitare il fallimento della loro vita.
Le donne devono smettere di scusarsi per il fatto di aver generato dei figli! Garbatamente, ma con fermezza e un po’ di ironia, fai notare che finchè le donne continueranno a seguire l’idea più o meno esplicita di uccidere i loro figli per poter andare avanti nel mondo (che sarebbe poi competere ad armi pari con gli uomini), avranno in realtà solo la garanzia di essere cittadine di serie B.
Un altro elemento di rilevante importanza in questo ambito della retorica abortista è l’idea per cui il figlio non nato è un nemico di sua madre. Madre e figlio vengono considerati come nemici uno dell’altra.
Dobbiamo aiutare i nostri interlocutori a cancellare questo antagonismo fittizio tra madre e figlio, che in realtà sono uguali per diritti e devono entrambi essere protetti dalla legge.
La realtà è che la vita di ogni essere umano deve essere protetta dal momento del concepimento fino alla morte naturale: questa è l’unica prospettiva ragionevole. E la vita umana non può essere soggetta a desideri arbitrari altrui, in alternativa presto ognuno troverà noi o i nostri cari indegni di vivere.
Infine, assieme al costante mantra collettivo “le donne devono disporre del loro corpo”, a chi è anti-abortista si replica con la sibillina ma evasiva domanda: “Chi decide?”. A questo è corretto rispondere con la domanda più appropriata che è: “Chi muore?”
Dal momento che ogni aborto in realtà ferma un cuore che batte è assolutamente essenziale che un governo giusto approvi leggi che tutelino il diritto alla vita. Slogan come “Fuori le leggi dalle mie ovaie!” sono solo un diversivo rispetto al potere della verità sulla vita nascente. I nostri funzionari pubblici sono delegati da parte nostra ad assicurare protezione per ogni essere umano.
In conclusione, l’unico modo per proteggere veramente i diritti della madre sarà rafforzare le leggi che difendono la vita di suo figlio.
Traduzione a cura di Emanuele Previtali
Clicca qui per leggere l’articolo originale pubblicato da National Right to Life in lingua inglese
di Mary Spaulding Balch e Olivia Gans Turner