Abbiamo già riferito, in passato, casi di omosessuali che si dichiarano contrari alla pratica dell’utero in affitto. Approfittiamo del clamore suscitato dalla recente campagna #STOPuteroinaffitto, per rilanciare alcune osservazioni estrapolate da un articolo pubblicato su Le Figaro all’inizio dell’anno, a firma di Jean-Mathias Sargologos, Sébastien de Crèvecoeur e Jacques Duffourg-Müller, rispettivamente giornalista, ricercatore universitario e critico musicale, tutti e tre omosessuali dichiarati. Rileviamo subito che non c’è alcun bisogno di dichiarazioni provenienti dall’ambiente omosessuale per portare argomenti “attendibili” o “imparziali” contro la barbarie dell’utero in affitto; tantomeno per dimostrare che non c’è nessuna “omofobia” nel condannare tale pratica. Qual è, allora, il motivo di questo rilancio?
Semplice: mettere in luce, come fanno chiaramente i tre firmatari, che le tanto rumorose associazioni Lgbt non hanno mai ricevuto alcuna delega a rappresentare gli omosessuali dell’orbe terracqueo nell’avanzare certe rivendicazioni e che, pertanto, le istanze provenienti dalla galassia di queste lobbies non hanno nulla a che vedere con il pensiero di tante persone che, pur vivendo la condizione omosessuale, non sono accecate dall’ideologia. Gli autori, infatti, manifestano in primo luogo il «desiderio di rompere il monopolio delle associazioni chiamate LGBT, autoproclamatesi rappresentanti delle persone omosessuali, nella loro pretesa di incarnare tutte le loro voci».
A loro volta, aggiungiamo noi, le associazioni Lgbt si fanno strumento delle miliardarie industrie della fertilità che vedono nella liberalizzazione internazionale della c.d. “maternità surrogata” il loro Eldorado. Ovviamente se la pressione mediatica fosse attuata dagli “etero”, sarebbe molto più facile l’accusa di sfruttamento delle donne; provenendo dagli omosessuali, invece, la richiesta di “figli”, non importa con quali mezzi, è moralmente immacolata.
Definiscono «fallace» l’argomento della “discriminazione” usato per invocare l’accesso alle pratiche tanto di fecondazione artificiale quanto di utero in affitto: «In effetti, due uomini o due donne insieme non possono intrinsecamente concepire un bambino e questa impossibilità di procreare è un dato obiettivo che non è il frutto di alcuna azione discriminante della società o dello Stato; è di natura e propria alla condizione omosessuale. In questo senso, gli omosessuali non possono chiedere un risarcimento allo Stato per compensare la discriminazione poiché quest’ultima non esiste. Dire ciò non è omofobia, ma semplicemente un richiamo obiettivo dei fatti». Seguono gli argomenti per rifiutare l’introduzione di questa pratica: primo fra tutti, com’è giusto, la reificazione della donna, ridotta a incubatrice, e del bambino, letteralmente prodotto e poi acquistato. Basta dare un’occhiata ai contratti-tipo impiegati in America, per rendersi conto della prospettiva “reificante” con cui si guarda agli esseri umani coinvolti nella vicenda.
Stupisce, però, alla luce delle parole citate sopra, che al di là del ricorso alle pratiche dell’utero in affitto e della fecondazione artificiale, i tre autori giudichino comunque «legittimo» il desiderio delle coppie omosessuali di avere dei figli (in quanto coppia omosessuale, beninteso), ricordando che esistono «alternative etiche» a loro disposizione per ottenere dei bambini. Stupisce perché dopo aver riconosciuto che l’impossibilità di procreare è un «dato di natura» intrinsecamente legato alla condotta omosessuale, non si capisce come sia possibile parlare in termini legittimi dell’adozione omosessuale. Se la natura non contempla l’“omoprocreazione”, evidentemente non prevede nemmeno l’omogenitorialità. È questo un punto fermo da non tralasciare mai nel dibattito in questione perché affidando un bambino a una coppia omosessuale lo si priva sempre di una delle due figure genitoriali (esattamente come nel caso dell’utero in affitto) e lo si introduce in una dimensione contraria all’ordine naturale. Inoltre, se è vero che alla pratica dell’utero in affitto ricorrono, in cifre assolute, di più gli eterosessuali, in percentuale sono molto più numerose le coppie omosessuali. E, è proprio il caso di dire, è “naturale” che sia così…
Vincenzo Gubitosi