L’omosessualità non è una condizione genetica.
Rigorosi studi condotti su gemelli identici hanno ormai reso impossibile sostenere che esiste un “gene gay”. Se l’omosessualità fosse innata e predeterminata, quando un gemello è omosessuale, anche l’altro dovrebbe esserlo.
Non solo: il fatto che la percentuale dei bambini cresciuti con genitori omosessuali che diventano a loro volta omosessuali, sia maggiore di quelli che crescono con coppie etero o con single, è un’altra riprova che il dato non è genetico ma – in senso molto ampio – psicologico/culturale.
Anche il basso tasso di omosessualità comune nei gemelli identici – circa il sei per cento – indica che ciò che determina le preferenze sessuali è la “cultura”, l’educazione, l’esperienza di vita, non la natura: l’ambiente e la reazione del soggetto agli stimoli ambientali sono i fattori determinanti. L’ipotesi più plausibile su ciò da cui trae origine l’omosessualità è da ricercare in qualche problema di socializzazione nella prima infanzia e preadolescenza con le persone dello stesso sesso, e soprattutto (spesso, ma non sempre) la mancanza di una figura positiva paterna (per i maschi) o materna (per le femmine). Se un ruolo della biologia ci fosse, esso si configurerebbe come fattore non determinante ma al limite predisponente (insomma: la biologia può al limite facilitare una certo tipo di reazione ai fattori ambientali).
Gli psichiatri William Byne e Bruce Parsons asseriscono che la causa dell’omosessualità va ricercata in modelli psicosociali esistenti: cioè che è una questione psicologica, non qualcosa di innato nelle persone.
Molti omosessuali, del resto, ammettono apertamente che il loro comportamento sessuale è frutto di una scelta: soprattutto molte donne lesbiche sono contrarie alla teoria del “siamo nati così” (il lesbismo è una scelta di vita e di libertà dall’uomo, la femminilità e la maternità uno strumento coercitivo maschilista: “biology is not a destiny” è un motto diffuso nel mondo del femminismo radicale, dal pensiero della de Beauvoir a quello di Anne Koedt delle Redstockings).
Eppure, il mito del “gay si nasce” continua a guadagnare credenti. La propaganda è stata martellante ed efficace e gli ultimi sondaggi americani mostrano la maggioranza degli intervistati convinta che l’omosessualità sia un fatto genetico.
Questa diffusa mentalità del “non c’è niente da fare, se uno è nato così” comporta un grave danno per le stesse persone omosessuali, che non vengono informate dei rischi connessi a tale situazione: la stessa Gay and Lesbian Medical Association americana ammette che gli omosessuali sono esposti a un rischio maggiore di contrarre AIDS, di abuso e dipendenza da droghe o alcol, di depressione e ansia, epatite, altre malattie sessualmente trasmissibili, e tumori della prostata, del colon e della bocca. L’attività sessuale tra persone dello stesso sesso comporta dei rischi tali, che una società razionale, che tiene davvero al benessere e alla salute dei consociati non dovrebbe lasciar correre come se fosse innocua, perché “inevitabile”. Piuttosto dovrebbe mettere in luce i rischi legati a certi comportamenti e offrire vero aiuto a persone con tendenze sessuali che inclinano ad assumere comportamenti negativi.
Redazione
Fonte: LifeSiteNews
* Si veda anche My genes e Corrispondenza romana