Gentile direttore,
il suo giornale nel numero del 29 ottobre ha dedicato un articolo, a firma di Serena Riformato, sul terzo “Rapporto sui costi dell’aborto indotto e i suoi effetti sulla salute delle donne” prodotto dall’Osservatorio Permanente sull’Aborto. Ho constatato con rammarico che la cronaca della presentazione al Senato proposta ai lettori de La Stampa, è stata incompleta, poco informata ed apparentemente motivata da una lettura pregiudizievole delle finalità di chi ha preparato il Rapporto.
L’autrice dell’articolo deve avere una idea della scienza e del dibattito scientifico alquanto singolare, limitandosi a citare, per screditare il nostro lavoro, alcune “autorità” come la World Health Organisation o l’American Cancer Society, che avrebbero messo una sorta di “punto fermo” su alcune delle questioni sollevate dal nostro Rapporto. Ma nella buona scienza non esistono ipse dixit, nessuna autorità può sottrarsi alla critica e nessuna teoria è definitiva. Nel nostro Rapporto non ci limitiamo a fare affermazioni: sia sul possibile effetto anti-nidatorio (cioè abortivo) della cosiddetta contraccezione di emergenza, sia sull’esistenza di un legame tra aborto volontario e cancro al seno, mettiamo a disposizione dei lettori e commentiamo un’ampia e aggiornata letteratura scientifica. Si tratta di due questioni su cui, al di là di quanto si può trovare scritto nelle pagine web delle organizzazioni internazionali o nei position paper delle società scientifiche, documenti molto spesso redatti con finalità che esulano dalla ricerca, sarebbe quanto meno prudente dire che non esiste un’evidenza scientifica consolidata. L’Osservatorio Permanente sull’Aborto, nella sua attività, analizza direttamente i prodotti della ricerca scientifica. Se l’autrice dell’articolo avesse fatto lo sforzo di leggere il Rapporto, avrebbe potuto facilmente constatarlo.
Avrebbe anche potuto comprendere meglio quanto affermiamo sulla non esistenza di un problema di salute pubblica legato agli aborti clandestini ai tempi di approvazione della legge 194/78. Serena Riformato si chiede “Come potrebbero mai esservi dati certificati sul numero reale di interruzioni di gravidanza clandestine – e morti – precedenti alla legalizzazione?”. Questa domanda avrebbe dovuto rivolgerla a chi lavorava nelle redazioni di giornali ad ampia diffusione in quegli anni, giornali che diffondevano con certezza cifre sul numero di donne morte di aborto clandestino. Se avesse fatto lo sforzo di leggere il Rapporto, avrebbe potuto constatare che noi, piuttosto che “certificare” un qualche numero di aborti clandestini, abbiamo al contrario mostrato, dati statistici alla mano, che le cifre diffuse sulle donne morte di aborto clandestino erano completamente infondate: abbiamo proprio fatto quello che la ricerca scientifica deve fare, sottoponendo a controllo empirico un’ipotesi. Il controllo ha “falsificato” l’ipotesi che l’aborto clandestino, all’epoca di approvazione della legge, costituisse un problema di salute pubblica.
Questo esempio mostra bene le finalità dell’attività dell’Osservatorio: contribuire al dibattito pubblico sull’aborto volontario e legale in Italia mettendo a disposizione dati e informazioni per quanto possibile fondate e complete. Tra queste anche la quantificazione dell’onere finanziario della legge 194/78 per i contribuenti italiani, un dato che sarebbe ovvio considerare nella valutazione di qualsiasi politica sanitaria, ma che ha dovuto attendere 40 anni e la nascita di un gruppo di lavoro volontario, per essere finalmente preso in considerazione.
In una società laica e pluralista l’opinione pubblica ha il diritto di conoscere tutte le posizioni e di accedere a tutte le informazioni disponibili, per poter deliberare. Forse un giornalismo troppo “militante” non fa un buon servizio ai lettori de La Stampa. Un resoconto più oggettivo e completo di quanto abbiamo scritto nel nostro Rapporto non avrebbe certo pregiudicato la difesa della legge 194/78, se questa è la posizione sostenuta da giornale da lei diretto. Avrebbe semplicemente contribuito più costruttivamente al dibattito su quello che resta un punto doloroso della vita civile del nostro paese: l’ampia diffusione dell’aborto volontario che, secondo i dati ufficiali Istat, ancora oggi viene prima o poi scelto da una donna italiana su cinque.
Benedetto Rocchi