08/10/2013

Papa Francesco: “Il volto di Cristo nei bambini non nati”. La mia esperienza di ostetrica

Quando svolgevo la professione di ostetrica consideravo momento “sacro” per eccellenza dell’evento nascita e dell’assistenza al parto quello del porgere il “bimbo” appena nato alla mamma e al papà, il più delle volte presente lì accanto. Quale grande ed inappagabile emozione! Momento che ho vissuto e condiviso con colleghe e colleghi più e più volte. “Sacro” perché in quel frangente tutti si fermavano a contemplare,  assorti in ossequioso silenzio, con grande commozione e gioia il mistero di fronte al quale si trovavano: quello della nascita di una nuova creatura. “Sacro” perché per un attimo l’attività assistenziale, se possibile, veniva ridotta all’essenziale: ciò che contava era l’essere, le relazioni, intessute di sguardi, di gesti di affetto, non il fare. Si ricostituiva finalmente la triade madre, padre, “bambino”. “Sacro” perché a mio giudizio, dopo il momento del concepimento, con la nascita, nuovamente  Dio si rendeva presente nella storia degli uomini donando una sua nuova creatura. Ogni volta  non mi capacitavo di essere chiamata a collaborare ad un evento così umano e divino nello stesso tempo. Sfido chiunque chiamato all’assistenza alla nascita a limitarsi ad una visione esclusivamente umana, tale è la percezione del mistero e della grandezza che essa racchiude.

“Una diffusa mentalità dell’utile”, la cosiddetta “cultura dello scarto”, richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli”: sono le prime parole che mi hanno colpita nella lettura del discorso che Papa Francesco ha rivolto ad un centinaio di medici della Federazione Internazionale delle Associazioni mediche cattoliche riunite a Roma lo scorso settembre. Niente di più vero! E’ noto quanto il fare e l’essere nell’etica del “nascere e del morire” siano un riflesso dell’ideologia e della cultura dominante. Non poteva quindi essere diversamente per il momento storico attuale. L’allontanamento da Dio da parte dell’uomo e un conseguente dilagante relativismo etico non potevano che limitare anche i due momenti essenziali della vita dell’uomo, quali la nascita e la morte, ad una visione prettamente materialista ed utilitarista. L’uomo e non Dio è al centro della storia. Un bambino deve nascere come , quando e, in altri termini, secondo le “esigenze” e “l’utile” di “chi” lo desidera, altrimenti ci si sente in diritto di “eliminarlo”. Se un bambino con un handicap fisico o mentale risulta troppo “scomodo” non ci sono problemi: esistono l’aborto eugenetico e per agire più razionalmente e prudentemente, nella possibilità di una diagnosi più certa, l’infanticidio. Per le persone anziane o gravemente malate si può sempre ricorrere all’eutanasia. E’ sempre l’uomo, al centro della storia che si è  arrogato il diritto di vita e di morte al posto di Dio.

Più volte camminando per i corridoi della Clinica in cui lavoravo e  che ogni giorno fa l’impossibile per salvare la vita di innumerevoli bambini ma che nello stesso tempo, come molte altre strutture vive il grave  problema dell’aborto, pensavo che lì si consumava lo stesso olocausto del genocidio di Auschwitz. Si tratta di un olocausto silenzioso, almeno apparentemente, agli occhi degli uomini, ma le cui urla di dolore arrivano dirompenti davanti a Dio. Olocausto che viene consumato per selezionare il numero di bambini desiderato. Olocausto che viene consumato per selezionare solo bambini fisicamente perfetti. Il tutto in difesa di un principio di presunta libertà della donna. Quanto dico non vuole essere un giudizio nei confronti di alcuno ma semplice lettura di una realtà in cui ho vissuto per molti anni.

In  un breve articolo comparso sul quotidiano Avvenire dello scorso 14 settembre, oltre al dato della riduzione del numero degli aborti in Italia (pari comunque al numero di vite consumate in Siria in due anni e mezzo di conflitto: “centoseimila bambini”) veniva riportato un commento alla relazione sulla legge 194 per l’anno 2012 con alcuni riferimenti all’obiezione di coscienza. Secondo il resoconto di campagne mediatiche sembrerebbe che i medici non obiettori devono praticare in media 1,7 aborti la settimana. Quale tristezza nel leggere questi dati, la cui suddivisione è evidentemente puramente di tipo statistico, soprattutto quando penso alla realtà ospedaliera. Ci sono infatti medici non obiettori che praticano più sedute di aborti nell’arco della settimana.

A Roma Papa Francesco spronava gli ostetrici a spendere pienamente la loro professione a servizio della vita. Non posso che esprimere parole di ammirazione per tutti i professionisti della vita nascente ( medici, neonatologi, ostetriche, infermiere…) che ogni giorno si prodigano per salvaguardare il benessere di madre e bambino.  Il lavoro è davvero affascinante ma la realtà molto dura se si tiene presente che la condizione assistenziale attuale è critica in termini di risorse umane e materiali. Ma il lavoro più arduo è quello del combattimento “etico” cui sono chiamati gli obiettori nel dare  testimonianza della propria fede, del proprio credo  attraverso l’esercizio della professione. Nell’esperienza personale i ricordi non sono dei più felici. Immagini di bambini abortiti, volti di donne in travaglio abortivo segnati dalla sofferenza fisica e morale, discussioni accese con colleghe/i e medici rispetto i casi clinici di aborti eugenetici che si presentavano, donne con il volto bagnato dalle lacrime che con grandissima fatica riprendevano  il cammino dopo un aborto. Parole di conforto e di chiarimento con le colleghe che volevano intraprendere il cammino dell’obiezione di coscienza. Erano situazioni molto difficili e gravi di fronte alle quali il più delle volte l’unica arma davvero possibile era la preghiera. Certo lungo il percorso non sono mancati gli eventi positivi, i ripensamenti di fronte all’aborto in favore della prosecuzione di una gravidanza, le conversioni di colleghe e colleghi.
Cammini non facili per gli obiettori veramente convinti di vedere “in ogni bambino non nato il volto di Cristo”. Purtroppo la legge 194 tutela solo parzialmente nell’assistenza all’aborto e chi non ha una coscienza rettamente formata compie molto facilmente degli atti immorali.
Si tratta davvero credo di una lotta tra il bene e il male che va perseguita da ogni obiettore con perseveranza e tenacia senza perdere quella speranza che solo in Dio trova la sua unica ragione d’essere.
Da parte mia possa giungere attraverso la preghiera ogni incoraggiamento affinché ogni singolo professionista della vita risponda ogni giorno pienamente alla sua vocazione.

di Sr Maria Valentina della Croce

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