Continua ad imperversare, acuita dall’emergenza sanitaria in atto, la questione relativa alle scuole paritarie. Le realtà non statali sono da anni una fetta importante dell’educazione italiana, ma devono da sempre fare i conti con difficoltà economiche e di “convivenza” con le scuole statali. Il tutto rischia di aggravarsi a causa della pandemia da nuovo coronavirus, viste le molte incertezze sul futuro economico dell’Italia. Sul tema Pro Vita & Famiglia ha intervistato suor Anna Monia Alfieri, religiosa delle Marcelline e da anni esperta del settore.
Qual è la situazione attuale delle scuole paritarie e quali rischi corrono anche per via dell’emergenza coronavirus?
«Iniziamo dai numeri e dai dati. Oggi in Italia abbiamo circa 40mila scuole statali e 12mila scuole paritarie. Per le prime lo Stato spende in media 6mila euro per ogni alunno, mentre per ogni studente delle paritarie lo Stato destina circa 500 euro. Le 12mila scuole di cui stiamo parlando sono quelle che hanno cercato di non tagliare in due la società con una retta sopra i 5mila euro, ma di fatto per ovviare a questo problema si sono indebitate. Di fatto negli ultimi cinque anni hanno chiuso 500 scuole paritarie. Ai tempi del Coronavirus moltissime famiglie, spesso senza un lavoro o comunque senza un impiego come prima, dopo aver pagato le tasse, non riescono a pagare anche la retta. A settembre succederà che, se lo Stato non interviene dal punto di vista economico, le paritarie collasseranno e con loro tutto il sistema della scuola pubblica. In tal senso la politica sembra aver preso coscienza del problema, con varie dichiarazioni da parte di tutto il centro-destra, di esponenti del Pd e di Italia Viva e anche di qualcuno del Movimento 5 Stelle come la senatrice Drago, ma ovviamente sarà tutto da vedere. Se questo 30% di scuole paritarie saranno costrette a chiudere, ben 300mila alunni si riverseranno nel sistema statale con una spesa per lo Stato italiano di 2,4 miliardi di euro. Oltre a questo, l’ex ministro Fioramonti ha dichiarato che servono 3 miliardi di euro, sempre a settembre, per far ripartire le statali. Un’operazione simile vorrebbe dire far collassare l’intera scuola statale, l’intera scuola pubblica (che ricordiamo è fatta dalle statali e dalle paritarie), ma significherebbe anche impedire la concreta riapertura delle scuole per via delle “classi-pollaio” e dunque negare il futuro dell’Italia».
Quali sono le soluzioni, le alternative?
«Non ci sono alternative, la soluzione è una. O passa questa cosa o sarà la fine. Ovvero in questi giorni si voteranno gli emendamenti del decreto-scuola. Si deve necessariamente votare per la detrazione completa della retta pagata dalle famiglie in tempi di Coronavirus secondo i costi standard e con tetto massimo di 5.500 euro. È un’operazione che allo Stato costerà 1 miliardo di euro, ma permetterà allo stesso Stato di riaprire le scuole a settembre, ma soprattutto di evitare di dover trovare – ovviamente tramite le tasse – quei 5 miliardi (2,4 + 3) che invece servirebbero in caso di collasso del sistema».
Secondo lei sarà fattibile arrivare a queste soluzioni?
«Io dico di sì, perché auspico che ci possa essere una vera e salda maggioranza in Parlamento. Il centro-destra ha presentato questi emendamenti e quindi voterà compatto. La sinistra dem si è dichiarata favorevole quindi non ci sono motivi per cui dovrebbe votare contro, lo stesso per Italia Viva con molte dichiarazioni in tal senso e alcuni membri dei 5 Stelle iniziano a guarda in questa direzione. Fare diversamente vorrebbe dire, soprattutto in questi tempi di coronavirus, aver condannato soprattutto i poveri a non avere possibilità di istruzione. Perché con la sola didattica a distanza in una scuola che trabocca di studenti, abbiamo già un milione e seicentomila studenti che non vengono raggiunti dalla didattica a distanza. Molti presidi di zone di periferia, soprattutto del Sud Italia, hanno già dichiarato che gli alunni più che a rischio coronavirus saranno in futuro vittime delle mafie, proprio per queste condizioni di impossibilità a studiare che ci saranno. Io vorrei infatti a tal proposito lanciare un appello a quei parlamentari che dovessero essere contrari a queste misure, affinché capiscano che l’unica soluzione è questa. Una soluzione che non aiuterà i ricchi, ma aiuterà i poveri. Chi è ricco si poteva permettere la scuola prima e lo potrà fare anche in futuro, anche e soprattutto si potranno permettere la didattica a distanza. Una scuola a due velocità condannerà i poveri ad andare lentamente se non addirittura rimanere fermi».
Oltre alla politica, secondo lei c’è un pregiudizio da parte dell’opinione pubblica nei confronti delle scuole paritarie, che vengono viste solo per i più ricchi e per i “cattolici”?
«Secondo me non più, non c’è più questo pregiudizio. Perché i cittadini che ragionano lo vedono che non è una questione confessionale o di soldi, ma capiscono la nostra battaglia e quella anche di realtà come la Cei che sono scese in campo per affermare che i soldi che servono non sono per favorire le paritarie, ma per favorire le famiglie a poter scegliere liberamente l’istruzione che ritengono migliore per i propri figli. Chi sostiene questo pregiudizio verso le scuole paritarie lo fa solo per questioni ideologiche e perché non ha la voglia di informarsi con numeri e dati alla mano».