05/08/2013

Parole dal C.A.V.: Sorelle di Vita

Esistono molti tipi di legame, alcuni di essi sono decisi dal D.N.A., stabiliti a nostra insaputa e consolidati con amore ed abitudine, altri li decide la casualità con la scuola, il quartiere, l’ambiente di lavoro, il percorso di ognuno…
A ciascuno spetta la scelta su quali conservare e quali salutare. Li chiamiamo legame fraterno, familiare, amicale…
Ma come possiamo definire il filo che cuce una donna che stava per non diventare mamma con la persona che ha reso possibile la nascita di suo figlio?

Ho conosciuto questa donna quando aspettava il suo primo figlio, una gravidanza inattesa, costellata di insicurezze e difficoltà oggettive, economiche e di salute. Tra noi è nato un legame speciale, costituitosi bozzolo intorno ad un bambino che cresceva in lei, un bambino protetto ed amato, che ha consolidato la sua famiglia ed ha permesso una reale crescita di coppia e personale.
Quando è rimasta di nuovo in gravidanza, è venuta subito di persona a dirmelo, rimproverandosi e preoccupandosi sempre più. Ma come poteva rinunciare ad una gioia che già conosceva? Quella gioia che l’ha tenuta sveglia per giorni dopo il parto per vedere la sua creatura dormire, senza riuscire a chiudere gli occhi, per non spezzare quell’incanto?

Le difficoltà però erano cresciute, ci siamo mossi alla ricerca di un sostegno sempre più concreto ed in molti hanno risposto al nostro appello per permettere a questa giovane famiglia di poter crescere ancora.
Abbiamo aspettato insieme con la pancia che di nuovo si espandeva, inserendo tasselli al posto giusto per migliorare il quadro che avrebbe accolto colei che da sempre avevo sentito come una bambina.

Questa volta, però, la sua paura per il parto era maggiore, e mi ha chiesto di starle vicino; un cesareo programmato ha permesso che fossi in ospedale mentre la operavano.
Ho aspettato qualche ora davanti alla porta chiusa delle sale operatorie, chiedendo notizie ai camici che entravano. Aveva partorito e stavano bene. Sorriso e leggerezza.
Dopo il parto dovevano passare almeno due ore prima che potesse essere spostata, ed io non potevo vederle. Ormai era sera e dovevo andare a malincuore senza incontrarle. L’ho chiamata, raggiante mi ha detto:
– Ci siamo riuscite!
– Lo so, ho parlato con l’ostetrica…
– Dove sei?
– Qua fuori, davanti alla porta, siamo vicine. Ma non possiamo vederci! E tra poco devo andare…
– Ma io voglio vederti! Aspetta, domando se ti fanno entrare.
E rivolta ad un’infermiera: – Mi scusi per favore, potrebbe far entrare mia sorella? Deve andare via.

Essere chiamata sorella mi ha commosso, per la sua spontaneità e potenza, ma anche divertito, considerando la sua pelle, color cioccolato!
Sono entrata, mi ha accolto il marito tenendo in mano un copriabiti sterile, una specie di mantello che mi avrebbe concesso il dono del volo per quel momento speciale. Madre e figlia erano sul lettino, la piccola ancora sporca dei liquidi che l’hanno cullata per mesi, adagiata sul petto e coperta per proteggerla dall’aria fresca. Un visino fresco e tondo, sotto il volto della sua mamma, stupenda ed esausta.

– Hai visto? Sono riuscita a dare la vita di nuovo? Vuol dire che sono importante!

Non so se esistono parole per tradurre questo momento, forse un paio di lacrime riescono meglio nell’intento. Osservare quella cosina che fino a solo due ore prima era dentro il corpo di un’altra persona, che si è costruita momento dopo momento fino ad arrivare alla perfezione. La gioia incommensurata della donna che è riuscita a farlo, nonostante la sua malattia ed il suo dolore. E la consapevolezza, splendida e reale, di averlo reso possibile. Di aver salvato quella bambina.

Superato il momento di commozione, abbiamo scherzato sul fatto che mi avesse chiamato sorella: – Ma che ne sanno loro, potremmo essere state adottate!
Potremmo non essere sorelle di sangue, ma lo siamo di vita.
Esatto, questa è la definizione di questo nostro strano e sacro legame. Sorelle di vita.

Fonte: SaltoVitale

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