06/06/2013

Per Francesco non si può amare l’Amazzonia ed essere abortisti

Papa Francesco ha affrontato un tema “politicamente corretto” in maniera  “politicamente scorretta”. Fedele alla sua linea, sempre più convinto che “l’ipocrisia sia la lingua dei corrotti”, Bergoglio, nell’udienza generale di  ieri, ha ripreso uno dei temi cardini del suo inizio di pontificato.

Ricorderete  che proprio nella messa inaugurale del suo ministero petrino aveva evidenziato  il verbo “custodire” come programmatico della rivoluzione bergogliana. Un “I  care” gradito ai benpensanti, agli opinionisti laici e anticlericali, ai profeti  virtuali e virtuosi, una “presa di responsabilità” per il creato che aveva fatto  gridare al miracolo gli alfieri del “green thinking”.
Nella catechesi di ieri, in una piazza San Pietro incerta tra la pioggia e il  sole ma ugualmente inondata di pellegrini, in un giorno di giugno folle per  l’effetto serra, ha osato. Cosa? Sovvertire le regole non scritte che fanno  “appropriato” e “cool” un discorso accorato sull’ambiente, e decisamente “out” o  “insopportabilmente reazionario” una riflessione sulla dignità della vita umana  dal concepimento fino alla morte naturale. E’ significativo che il Francesco  simpatico ed essenziale, quello che va dritto al cuore delle questioni, abbia  impostato la sua meditazione proprio sullo schema approntato anni addietro dal  suo predecessore.

Fu Benedetto XVI, infatti, a denunciare la necessità di una nuova presa in custodia del Creato. Per lui era stata coniata la definizione di “Papa verde”:  la sensibilità tedesca al tema era emersa infinite volte in discorsi, appelli,  dichiarazioni ecumeniche, quando Ratzinger insisteva sulla necessità di  “cogliere il ritmo e la logica della creazione” per imparare a rispettare l’opera di Dio. Il Papa dall’eterno cuore bambino rivendicava lo stupore  infantile, la contemplazione, l’ascolto come strade per giungere a  riappropriarsi del dono fatto all’uomo dal Creatore.
Per lui “i doveri verso l’ambiente” derivavano “da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri”. Per questo, in più di una occasione ufficiale, aveva sottolineato il legame tra “ecologia umana” ed “ecologia ambientale”: nel giugno del 2011 aveva strapazzato gli ambasciatori di  paesi a rischio nella tutela dei diritti umani parlando dell’ecologia umana come  di una “necessità imperativa”. E pochi mesi dopo, in settembre, durante il suo  viaggio in Germania, nella storica occasione della visita al Bundestag tedesco,  aveva mirabilmente disegnato l’impianto filosofico e morale di una “ecologia”  rispettosa dell’uomo e della sua unicità, condannando quella ragione positivista che “non in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre”.
L’invito, applauditissimo nella nazione dove negli anni 70 si era affermato il movimento ecologista, era a “spalancare le finestre” per “vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto in modo giusto”. Con la lucidità propria del teologo, Benedetto XVI notava come nel rapporto con la relatà ci fosse qualcosa che non andasse. “Bisogna riflettere seriamente” sosteneva “sui fondamentali della nostra stessa cultura”, “anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può  manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso”. Era il chiaro richiamo ad una “ecologia umana” che lontana dalle preoccupazioni per il sovraffollamento e lo sviluppo sostenibile, ribaltava luoghi comuni sulla necessità di “conservare” il pianeta per proporre una visione più ampia e complessa del problema ambientale. La prospettiva era quella verticale: la Creazione come luogo dove assorbire “il ritmo della storia d’amore tra Dio e l’uomo”.

Una prospettiva ripresa ieri da Papa Francesco, che lungi dallo sposare tesi meramente ecologiche ha posto al centro della riflessione sulla custodia del Creato, l’uomo. Con la brutale franchezza che gli è propria (adorabile nella civiltà del “linguaggio socialmente educato”) ha detto ciò che un uomo dotato di buon senso pensa: “oggi contano i soldi, ma Dio, nostro Padre, ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi”. E ancora, oggi “uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo”, “fa meno notizia un senza tetto che muore di freddo per la strada che un abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città”.
Per il Papa siamo immersi nella “cultura dello scarto”: le persone sono rifiuti e il cibo non ha più valore. Una mentalità contagiosa e feroce per cui la vita umana non è più il bene primario da rispettare e tutelare, che sia un feto, un disabile o un anziano. Così come nessuno sta più attento al cibo avanzato.

Lontani anni luce dalla cesta con i cinque pani e i due pesci, resa dal Signore sufficiente per sfamare la folla venuta ad ascoltarlo, quando tutti furono saziati e niente fu scartato. Il miracolo evangelico come paradigma di una nuova cultura attenta al creato e alla creatura. Il migliore esempio per Francesco di una “ecologia ambientale” che va di pari passo alla “ecologia umana”.

di Cristiana Caricato

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