18/04/2023 di Giuliano Guzzo

Per gli italiani avere un figlio penalizza le donne. In realtà è lo Stato che le penalizza. Ecco perché

Gli italiani che cosa pensano che oggi comporti, per una donna, avere un figlio? Per provare a rispondere a questa domanda e ad altre, è stata svolta una rilevazione di Quorum/YouTrend per Sky TG24 i cui esiti non possono non stimolare una riflessione. Vediamoli, prima di provare a ragionarci brevemente sopra. Anzitutto, un dato positivo – se così si può dire – è quello della diffusa consapevolezza del dramma dell’inverno demografico e delle culle vuole, che per la netta maggioranza dei nostri connazionali (il 62%) è motivo di preoccupazione. Da notare come pure un elettore su due del Pd sia «abbastanza d’accordo» sul fatto che la denatalità sia «minaccia più grave per l’Italia».

Quest’ultimo dato, se si vuole, è un po’ paradossale dato che proprio il centrosinistra italiano è da sempre portavoce di istanze quali divorzio breve, pillola abortiva, unioni civili e biotestamento. Parimenti trasversale alla preoccupazione per le culle vuole, è un altro pensiero: quello secondo cui la maternità danneggia la donna. Per l’80% degli italiani, infatti, i figli non danneggiano la carriera di un uomo, tuttavia lo stesso non si può dire per la mamma; il 55% pensa infatti che avere un figlio danneggi l’avvenire professionale di una donna.

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In altre parole, gli italiani ritengono che un grosso problema per le lavoratrici sia la possibilità di essere sia mamme e sia appunto lavoratrici, opzioni che spesso risulta difficile garantire insieme. Della serie: o una o l’altra. E questa è senza dubbio una criticità, che investe non solo la permanenza sul lavoro della madre bensì anche il suo reinserimento nel mondo del lavorativo. Tutto ciò non riguarda certo solo l’Italia e, per questo, è da anni preso in esame dagli studiosi, che hanno iniziato a parlare di «maternal wall bias», ovvero di muro di pregiudizio materno, per dirla con quanto segnalato la studiosa Lesley Evans Ogden in un intervento pubblicato su Science.

Tristemente eloquenti, in tal senso, restano gli esiti di un fondamentale studio uscito nel 2007 sull’American Journal of Sociology. In quell’indagine – i cui esiti sono da considerarsi assai attuali anche per l’Italia di oggi - i ricercatori avevano trasmesso domande di assunzione fittizie a numerosi datori di lavoro. Domande che erano sostanzialmente simili, tranne che in un aspetto apparentemente marginale: in alcune di esse si faceva riferimento a bambini e ad incontri tra genitori e insegnanti. Ebbene, a parità di titolo di studio e di qualifiche, le domande inoltrate da candidate che non contenevano alcun riferimento ai figli hanno avuto più del doppio di probabilità di essere seguite da un colloquio.

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Tutto questo per dire che, probabilmente, il 55% degli italiani ha purtroppo ragione: davvero la maternità danneggia, oggi, la carriera di una donna. Uno scenario che, semplicemente, non dovrebbe esistere. Eppure è così, e su questo non solo gli italiani ma anche, anzi, soprattutto le istituzioni dovrebbero avviare una profonda autocritica per superare tale situazione. Tornando al sondaggio Quorum/YouTrend per Sky TG24, ci sono infine altri due dati interessanti che, prima di concludere, val la pena richiamare. Il primo dato da sottolineare concerne il fatto che quasi un italiano su due, non senza qualche ragione, riconosce alla denatalità cause materiali. Non tutti, però, la pensano così.

L’insicurezza economica è infatti sì la prima causa delle culle vuote, per gli interpellati (44%), ma non è l’unica; e chi parla di assenza di prospettive per i giovani (24%), del rischio di perdere il lavoro (6%) e della mancanza di strutture di sostegno (5%) ci sta probabilmente dicendo o, meglio, ricordando, una cosa semplice: in Italia manca – o se c’è è profondamente in crisi – una cultura della famiglia e della natalità. Infine, l’ultimo dato che fa pensare è che appena il 6% degli italiani, quindi una minoranza ridottissima, ritiene che le culle si possano tornare a riempire con «più canali di immigrazione legale». Una ricetta, quest’ultima, cui credono solo i più ostinati progressisti e che, appunto, serve solo per negare un’assenza ancora più grave, forse, di quella dei bambini che pure in Italia scarseggiano: quella, già richiamata, di una cultura per la vita e per quella che, giustamente, il Papa e la Chiesa hanno più volte chiamato «la cellula fondamentale della società».

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