Condividiamo l’appello all’unità di Giuliano Guzzo su Libertà e Persona:
Neppure il tempo di convocare ufficialmente, per il prossimo 20 giugno, una grande manifestazione nazionale a difesa della famiglia che il mondo cattolico è subito tornato a praticare il proprio sport preferito: dividersi.
“Difendiamo i nostri figli”, il comitato organizzatore, e quanti collaborano per la riuscita dell’evento in pochi giorni sono stati tacciati – a seconda dei punti di vista – di oltranzismo o di rassegnazione, di alzare troppo i toni o di non farlo abbastanza, di seminare tensioni o di non battersi per la verità tutta intera; e intanto l’Europa, galoppa gioiosa verso praterie LGBT.
Si ripete così un film già visto, nel quale c’è puntualmente qualcuno che la sa più lunga, sempre con la matita rossa in mano, che si sente a priori investito di una missione purificatoria. Verrà un giorno in cui la frammentazione culturale del cattolicesimo sarà oggetto di analisi anche stimolanti, ma adesso non c’è tempo; non non solo perché alto e concreto è il rischio che il Parlamento, a breve, approvi definitivamente il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili – e dunque si spalanchino le porte a nuove quanto inquietanti forme di adozione – ma perché in pericolo c’è un bene di incommensurabile valore: la famiglia.
Beninteso: la crisi della famiglia non dipende affatto dalle unioni civili o dalle convivenze omosessuali, essendo qualcosa che interessa diffusamente il mondo occidentale da circa mezzo secolo e le cui radici – a detta di alcuni – risalirebbero addirittura a quando, nel 1791, la Francia rivoluzionaria per prima “secolarizzò” il matrimonio religioso riducendolo a mero contratto civile e innescando dinamiche esiziali.
E’ innegabile, tuttavia, come un ulteriore passo verso la destrutturazione dell’istituto matrimoniale dapprima secolarizzato, poi snaturato col divorzio, quindi ferito con l’aborto e infine oggi presentato come ordinaria variante affettiva fra le tante, determinerebbe danni incalcolabili su molteplici fronti. Anche perché se fino ad oggi, appunto, si è parlato di crisi della famiglia, il rischio è che domani questo non sia più possibile dal momento che – complice il diffondersi della teoria del gender e delle nozze fra persone dello stesso sesso – l’identità stessa della cellula fondamentale della società venga progressivamente a sbiadirsi fino a non essere più riconoscibile, con tutte le catastrofiche conseguenze che in termini esistenziali, educativi e demografici questo comporterebbe.
La posta in gioco è cioè antropologica prima che politica, umana prima che partitica, e solo la miopia di chi si ostina ad ignorare gli effetti che le leggi sortiscono nella mentalità può motivare una tranquillità, ahinoi, del tutto ingiustificata. «La verità naturale sul matrimonio», che risulta non fondata bensì – ha scritto la Congregazione per la Dottrina della Fede – «confermata dalla Rivelazione» (Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni omosessuali, 2003: I.,3), è infatti qualcosa di troppo prezioso per essere messa fra parantesi o perché sia consentito al Legislatore di umiliarla con provvedimenti liberticidi, come il disegno di legge contro l’omofobia, o gravemente iniqui, come già citato disegno di legge Cirinnà.
Per questo il pomeriggio del 20 giugno in Piazza San Giovanni a Roma, e in tutte le occasioni in cui sarà possibile farlo, la difesa e la promozione della famiglia nella sua struttura essenziale costituiscono un dovere al quale non è possibile opporre critiche, distinguo, precisazioni. Non per amore di una unità ipocrita e non perché critiche, distinguo e precisazioni, in quanto tali, siano da rigettare, ma perché nessuna ragione è abbastanza seria da giustificare indifferenza al fatto che i bambini abbiano diritto a padre e madre.
E purtroppo a questo siamo: a presidiare una verità così evidente che il solo trovarsi nelle condizioni di doverla ripetere – è stato sottolineato – fa venire da piangere. Eppure, se ciascuna epoca presenta, come pare, dei doveri prioritari quali sono stati, in epoche passate, la lotta contro la schiavitù o contro la discriminazione razziale, i doveri di oggi gravitano anzitutto attorno a questo: la difesa dei figli. Selezionati o scartati in provetta, abortiti o eliminati con l’eutanasia infantile, giudicati causa del presunto sovraffollamento globale o privati del diritto di crescere con un padre ed una madre, i figli – di fatto – sono il primo bersaglio di una “cultura dello scarto”, come la chiama Papa Francesco, che con loro sta scartando anche il futuro di tutti.
Ecco che allora “Difendiamo i nostri figli” non è solo il nome di un comitato promotore d’una manifestazione: è l’impegno a cui ciascuno è chiamato. Indipendentemente da segreterie di partito, tentennamenti, interessi di bottega. Perché, per quanto in buona fede possano essere critiche, distinguo e precisazioni sull’appuntamento del prossimo 20 giugno e su quelli che seguiranno, quando i piccoli di oggi – cioè gli adulti di domani – chiederanno spiegazioni a chi oggi preferisce pontificare anziché lottare, difficilmente accetteranno giustificazioni tremendamente simili ad ammissioni di colpa.
Giuliano Guzzo