Per concludere questa serie di articoli sui motivi che ci spingono a ritenere gli atti omosessuali contrari alla morale naturale , riportiamo una serie di obiezioni, alle quali in verità sarebbe facile rispondere semplicemente rinviando ai precedenti articoli, ma che qualche volta possono sollevare punti di interesse, bisognosi di precisazione.
Per leggere gli articoli precedenti cliccare qui di seguito:
- parte I (il punto di vista morale),
- parte II (il bene e il male, la finalità e la natura),
- parte III (il bene e il male morali, la moralità e l’atto intrinsecamente immorale),
- parte IV (la sessualità, la moralità dell’atto sessuale, l’omosessualità, le conseguenze).
Le obiezioni e le risposte assumeranno la forma di un dialogo immaginario con un sostenitore delle idee LGBT ...
Obiezione
“Tutto questo discorso lunghissimo contro l’omosessualità e gli omosessuali ... sicuramente chi sostiene queste tesi è animato da un grande odio omofobico! Perché odi gli omosessuali?”
Risposta
Non odio assolutamente gli omosessuali, e questa non è certo una precisazione “di rito”. Ho fatto una netta distinzione tra la “persona” e “l’omosessualità”. E si deve ancora distinguere l’omosessualità come “inclinazione”, “atto”, e “vizio”. A meno di ridurre una persona alle sue inclinazioni, cosa che, come ho detto, sarebbe un’offesa per una persona con inclinazioni omosessuali (come per ogni altra persona), chi è contro “l’omosessualità” non è per questo contro nessuna persona.
Chi compie atti omosessuali compie atti moralmente gravi, e soggettivamente riprovevoli nella misura in cui è cosciente del disordine. Chi ha l’inclinazione omosessuale può non avere nessuna colpa e addirittura vivere eroicamente una vita di virtù. Oggigiorno purtroppo pochi hanno una vita morale integra, specie nel campo della sessualità, e ciò riguarda anche cosiddetti “eterosessuali” (contraccezioni, aborti, tradimenti sono all’ordine del giorno).
Quindi nessun odio per gli omosessuali. Anzi. Rifletti sul punto: ho parlato ampiamente degli atti omosessuali come disordine morale e come causa di problemi psicologici e fisici. Come qualcosa quindi che fa “male” a una persona. Ma se io odiassi gli omosessuali, cioè volessi per loro il male, non sarebbe molto più logico, dal mio punto di vista, tacere gli effetti negativi dell’omosessualità? o addirittura incoraggiare gli omosessuali ad assecondare senza preoccupazioni la loro inclinazione? Dalla prospettiva di qualcuno che sostiene fermamente la negatività dei rapporti omosessuali, mettere in luce questa negatività, mettere in guardia gli altri dal disordine e dai rischi, e allo stesso tempo ricordare che una persona è molto di più che le sue passioni, potendo liberamente dominarle, suona decisamente come un invito a evitare il male e quindi come un atto di amore verso le persone omosessuali (volere loro il bene).
Obiezione.
“Forse. Diciamo che ti riconosco la buona fede. Ma comunque insistere sul fatto che l’omosessualità non è naturale quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’APA ...”
Risposta.
Ti fermo subito: sai benissimo perché quest’argomento non permette di decidere il fondo della questione. Come ho lungamente spiegato, non è la valutazione medica o psicologica che mi interessa anzitutto, ma la valutazione morale. Quegli organismi potranno avere una certa autorevolezza nel campo della scienza medica o psicologica, ma non specificamente in campo morale.
Inoltre, ho parlato delle conseguenze negative dei rapporti omosessuali dal punto di vista fisico e psicologico indipendentemente dal fatto che l’omosessualità possa essere classificata o meno come patologia. Ci sono molte pratiche, atti o anche disposizioni che hanno effetti negativi sulla salute psico-fisica senza essere necessariamente in sé delle patologie. In altre parole, sono gli effetti ad essere patologici, non necessariamente la causa.
Infine, anche quanto alla valutazione strettamente medica dell’omosessualità, ci sia permesso di non prendere come “dogmi” le posizioni di organismi che, sempre in temi riguardanti la sessualità, sostengono che i bambini da 0 a 4 anni dovrebbero esplorare le “diverse identità di genere” ed essere informati sul piacere “nella masturbazione infantile precoce” (vedi gli “Standards per l’educazione sessuale in Europa” dell’OMS), o che addirittura aprono alla pedofilia come l’APA (vedi a questo link).
Obiezione.
“Va bene. Allora se proprio vogliamo analizzare tutto il discorso filosofico-morale, parlare di “finalità”, di “morale naturale”, sembra un discorso medioevale ...”.
Risposta.
Non solo medievale. Anche medievale. Un segno della validità del discorso sulla “morale naturale” è proprio la sua “a-temporalità”. Esso era sicuramente molto presente e sviluppato nel medioevo (non un’epoca “buia” come semplicisticamente si è portati a credere) e Tommaso d’Aquino è stato forse il pensatore che ha meglio spiegato i principi morali e il significato morale della natura umana. Ma il discorso esisteva già nell’antichità, presso i greci, i romani e anche prima. Esisterà dopo il medioevo. Il discorso sulla morale o diritto naturale attraversa anche la modernità e l’epoca contemporanea, anzi, soprattutto nell’epoca contemporanea la sua necessità viene rivalutata, dopo le terribili esperienze dei totalitarismi del ‘900 e quindi dopo il fallimento storico del positivismo giuridico. I processi di Norimberga furono possibili solo grazie alla riscoperta di quest’esigenza: l’esistenza di principi morali superiori perfino allo Stato, che derivino da quello che l’uomo è per natura.
Obiezione.
“Hai detto che le finalità delle funzioni naturali sono misura del bene, e che contraddire queste finalità costituirebbe un male morale. Ma si potrebbe obiettare che, ad esempio, la mano non è fatta per camminare, eppure chi si diverte a camminare sulle mani non commette per questo un atto immorale o contro-natura ...”.
Risposta.
L’esempio della mano non è valido per più motivi. Ho spiegato infatti che l’immoralità dell’atto non deriva da una generica “contraddizione” rispetto a un “fine” qualsiasi. L’immoralità risulta solo quando: 1. il fine cui l’operazione/facoltà è ordinata, e che viene contraddetto, è chiaro (anche se non esclusivo) e la negazione di questo fine è volontaria; 2. Il fine contraddetto è tale da avere rilevanza morale, essendo in relazione con il bene della persona in quanto tutto, come oggetto o come fine ulteriore dell’atto.
L’esempio della mano non soddisfa né la prima né la seconda condizione: infatti la mano è forse, in tutto l’organismo umano, “l’organo” con la finalità più generica (non-univoca) possibile. La mano permette di prendere, sollevare, spingere, tirare, stringere, colpire, ecc. ... è davvero difficile trovare un’operazione che “contraddirebbe” la natura della mano. La stessa azione di camminare sulle mani potrebbe essere considerata una variante del “sollevare/spingere”. Infatti, appena consideriamo un organo con un fine/funzione un pochino più specifico, vediamo riapparire all’orizzonte la nozione di “anormalità” e anche di “male”, almeno sotto la forma di “danno”. Si pensi allo stomaco: organo dell’apparato digerente che svolge la seconda fase della digestione (dopo la masticazione), finalizzata in ultima analisi alla conservazione della vita.
Se qualcuno contraddicesse la funzione di quest’organo, ad esempio, ingerendo pezzi di metallo, che non possono servire alla digestione e al sostentamento dell’uomo, giudicheremmo ciò una azione “anormale”, probabilmente anche “pericolosa”, in quanto potenzialmente “dannosa”. Ma non avremmo ancora una azione necessariamente immorale: bisognerebbe considerare il suo rapporto con il bene totale della persona. Nella maggior parte delle ipotesi, l’ingestione di metalli ha una relazione negativa con il bene della persona in quanto tale (provocando a tutto l’organismo un danno, non servendo al sostentamento, ecc.). Ma si potrebbe anche fare l’ipotesi dell’ingestione di certi metalli (come l’argento colloidale) che avrebbe un effetto terapeutico, e quindi finalizzato al bene della persona. In questo caso la valutazione morale sarebbe diversa.
Bisogna quindi tenere in mente tutti i requisiti dell’azione morale. Perciò l’esempio dell’uso della mano è molto diverso dall’atto sessuale genitale, nel quale il fine è altamente specifico e intrinsecamente in rapporto con il bene totale della persona (la generazione), come già spiegato.
Obiezione.
“Esageri la finalità generativa. Non è l’unica: anche l’amore, il potere di unire i cuori e le volontà di due persone, è fine importantissimo dell’atto sessuale.”
Risposta.
Infatti. Un rapporto sessuale che negasse completamente l’amore, l’unione delle volontà personali, sarebbe anch’esso negativo e “anti- naturale” dal punto di vista morale. Peggio ancora qualora si realizzasse contro la volontà di una delle persone, come nella violenza sessuale. Come tu stesso hai intuito, per la bontà dell’atto è necessario che sia in qualche modo “integro”, cioè che tutte le sue finalità naturali ed essenziali, in rapporto con la persona in quanto tale, siano soddisfatte: come non va bene il rapporto sessuale senza rispettare le esigenze dell’amore, così non va bene il rapporto sessuale che non rispetta le esigenze della generazione.
Obiezione.
“Potremmo forse argomentare che, mentre è vero che in generale la sessualità è per la riproduzione, nella persona omosessuale c’è un’eccezione, una deroga alla regola generale, nel senso che la persona non si sente finalizzata a procreare. Il fine della riproduzione della specie viene comunque conseguito in quanto la maggior parte dell’umanità è attratta dal sesso opposto. La natura potrebbe regolare la fertilità anche prevedendo l’esistenza di soggetti omosessuali. In un certo senso è la natura stessa della persona omosessuale a “derogare” a una legge generale: la persona omosessuale, compiendo atti omosessuali, non contraddice quindi la propria natura umana.”
Risposta.
Questo varrebbe se la persona con inclinazioni omosessuali fosse di “natura” diversa dalle altre persone. In realtà, come già spiegato, tutte le persone condividono la stessa natura umana che, indipendentemente dalle inclinazioni sessuali, è sessuata, come maschio o come femmina. La persona è quindi in quanto tale complementare (in tutto il suo essere) al sesso opposto. La finalizzazione alla procreazione del corpo umano è un dato oggettivo che non viene modificato dalla percezione o inclinazione soggettiva della persona. Poco importa poi che la riproduzione della specie venga conseguita ugualmente dalla maggior parte delle persone: questo significa soltanto che non esiste un dovere assoluto di generare in capo ad ogni individuo. Ma nella misura in cui si decide di “attivare” la facoltà generativa (compiendo atti sessuali), allora bisogna rispettare questa sua finalità naturale, il bene verso cui è ordinata.
Obiezione.
“C’è qualcosa che però mi ha turbato. Hai detto che se l’omosessualità fosse moralmente giustificata, anche la bestialità dovrebbe esserlo, e che dunque sono entrambi ingiustificabili disordini morali. Stai forse insinuando che gli omosessuali sono come coloro che hanno rapporti con animali?! Stai forse dicendo che il mio partner è equiparabile a un animale?!”
Risposta.
In realtà, se rifletti attentamente, ti renderai conto che ho sostenuto esattamente il contrario! Ho detto che è nella prospettiva omosessualista (non la mia!) che sarebbe logico ritenere la liceità tanto degli atti omosessuali quanto degli atti bestiali e che quindi diventerebbe impossibile distinguere moralmente gli uni dagli altri. Nella mia prospettiva le due cose rimangono distinte, anche dal punto di vista morale: benché entrambi i tipi di atti siano valutabili come disordini morali, lo sono in ragione di una diversa difformità o “lontananza” dall’atto sessuale naturale. Per questo l’atto bestiale è di una gravità specificamente diversa dall’atto omosessuale. Invece se nel rapporto sessuale la persona non dovesse rispettare il fine naturale non si vede (in quest’ottica, dalla quale appunto mi dissocio!) perché ogni atto sessuale con un animale dovrebbe essere considerato intrinsecamente immorale. Le altre ragioni che vengono avanzate per considerarlo tale non convincono, come ho spiegato.
Obiezione.
“Ma ci sarebbe comunque un modo per distinguere omosessualità da zoofilia, anche nella prospettiva omosessualista, in quanto le classificazioni internazionali di patologie o disordini sessuali includono la zoofilia ma non più l’omosessualità.”
Risposta.
Attenzione: ho parlato, non a caso, precisamente di “atto sessuale con animali”, di “bestialità” e non di “zoofilia”. Ammesso e non concesso che si possa ancora coerentemente (partendo dalla prospettiva omosessualista) considerare la zoofilia sempre e comunque come patologia (bisognerebbe andare a indagare perché la zoofilia è ancora considerata tale, e valutare se rimangono ragioni sufficienti), in realtà l’oggetto del mio discorso: 1. non era la zoofilia come inclinazione psicologica ma l’atto di bestialità; 2. non si riferiva alla valutazione medica ma alla valutazione morale della bestialità.
Saprai bene che, come si possono aver rapporti sessuali con una persona di sesso diverso senza essere “eterosessuali”, o con persone dello stesso sesso senza essere “omosessuali”, così si può avere un rapporto sessuale con un animale senza essere “zoofilo”. Quello che dunque mi interessa è la qualificazione morale dell’atto di bestialità in sé, che potrebbe esistere indipendentemente dalla zoofilia. Diventa impossibile mostrare l’immoralità intrinseca dell’atto bestiale, come atto appunto, se si nega la necessità di rispettare la finalità dell’atto sessuale. Il mio discorso verteva sulla valutazione morale degli atti, non sulla qualificazione medica delle inclinazioni.
Alessandro Fiore