Nemmeno la paralisi dell’economia globale ha potuto nulla contro un mercato che non solo non ha conosciuto cedimenti, ma s’è pure espanso: l’industria a luci rosse. Prima di vedere numeri ed effetti del fenomeno, una premessa: costituisce pornografia qualsiasi forma di scrittura o di rappresentazione o audizione che abbia come scopo quello di eccitare sessualmente. Ogni distinzione tra erotismo e porno, come assicurano anche esperti del calibro di Tinto Brass, è pertanto da ritenersi puramente formale e volta a ridimensionare la pornografia, come se fosse questione marginale, mentre invece – numeri alla mano – rappresenta una realtà di dimensioni impressionanti. I dati, per stare al nostro Paese, sono eloquenti : dal 2004, anno in cui il volume d’affari dell’hard, per la prima volta, superò il miliardo di euro, non ci sono più state battute d’arresto. Una crescita costante. Come in tutto il mondo, del resto.
La San Fernando Valley, definita non a caso la “Capitale pornografica mondiale“, lancia qualcosa come più di 10.000 porno film all’anno. Analoga invasione sul versante delle riviste; basti dire che la diffusione Playboy e di Penthouse, negli Stati Uniti, è doppia rispetto a quella di Newsweek e di Time messi insieme. Un calendario di Playboy, tanto per non farsi mancare nulla, gli astronauti dell’Apollo 12 se lo portarono addirittura sulla Luna. Decisamente emblematico, poi, è il caso del dominio www. sex.com – considerato il più popolare al mondo – un tempo proprietà di una società californiana finita in bancarotta e venduto, durante un’asta conclusasi lo scorso ottobre, alla cifra record di 13 milioni di dollari.
Investimento folle, verrebbe da dire. Ma se si pensa che ogni secondo su internet vengono spesi oltre 3.000 dollari per acquistare contenuti porno, si fa presto a capire la ragione di tanto interesse verso la più nota sigla erotica. La natura redditizia del porno, ad ogni modo, non è certo una novità: John Cleland scrisse Memorie di una donna di piacere (1748-49) – che fruttò all’editore 10.000 sterline in tre anni – per pagarsi i debiti, e lo stesso fece Apollinaire, che si dedicò alla narrazione osé per meri fini pecuniari. Col passare del tempo e con l’evoluzione dei mass media, chiaramente, anche l’industria a luci rosse s’è aggiornata.
Al punto che oggi, a rendere ancora più penetrante il successo della pornografia, ci si son messi pure tutta una serie d’inquietanti messaggi subliminali disseminati qua e là, manco a dirlo, pure nei cartoni animati. Sull’efficacia di questi messaggi si può discutere, ma già solo il fatto che contenuti erotici – per giunta in ripetute occasioni – siano stati inseriti in prodotti destinati ai più piccoli suona quanto meno inquietante. E viene quindi spontaneo chiedersi quali effetti possa produrre una così diffusa campagna pansessualista, che spazia dal cinema alla pubblicità, dalla letteratura alle equivoche lezioni di educazione alla sessualità tenute in molte scuole.
Per scoprirlo, possiamo attingere ad una letteratura scientifica assai vasta ed estesa nel tempo. In una ricerca condotta da Mosher (1970), nel corso della quale furono mostrati a degli studenti universitari di entrambi i sessi due pellicole hard curate dall’Istituto di Ricerca Sessuale di Amburgo, si rilevò come l’esposizione ai film possa favorire il cambiamento, in termini permissivi, delle opinioni sulle condotte sessuali, in particolare per ciò che riguarda i rapporti pre-matrimoniali. Baran (1976), servendosi di un campione di 202 studenti americani, ha invece riscontrato una preoccupante correlazione tra l’esposizione cinematografica a scene erotiche e l’insoddisfazione, nella vita quotidiana, della propria vita sessuale. Il che suffraga l’idea che la pornografia, anziché stimolare la vita sessuale dei suoi fruitori, la banalizzi fino a mortificarla.
Decisamente allarmanti anche le conclusioni riportate da Goldstein e Kant nel loro Pornography and Sexual Deviance (1978). Costoro, infatti, constatarono come «i gruppi dei delinquenti sessuali, particolarmente gli stupratori, sono stati esposti nella preadolescenza a materiale erotico più esplicito». Una tendenza duratura, dato che questi soggetti «registrano una maggior frequenza di esposizione a foto o a libri che descrivono rapporti sessuali». Altri autori, denunciando carenza di evidenze scientifiche, hanno espresso riserve circa l’esistenza di un nesso causale tra pornografia e reati di tipo sessuale, anche se, di contro, non mancano storie paradigmatiche che chiariscono la pericolosità del consumo di materiale a luci rosse.
Ted Bundy, uno dei più prolifici serial killer americani, in un’intervista rilasciata ad uno psicologo poco prima di essere giustiziato disse: «Il mio percorso è cominciato all’età di 12 anni quando sono venuto a contatto per la prima volta con dei testi pornografici. Il tipo peggiore di pornografia esistente è quella che incita alla violenza sessuale. L’unione del sesso e violenza porta a un comportamento terribile da definire». Sarà un caso, ma anche il pluriomicida Cesare Battisti sembra coltivare interesse per l’hard, tanto che nel 1998, sul settimanale Amica, è apparso un suo racconto erotico che sarebbe eufemistico definire di dubbio gusto. Ovviamente questo non dimostra nulla, ma sarebbe miope negare come il consumo di materiale luci rosse funga da cornice esistenziale per molti soggetti pericolosi.
A questo riguardo, non va dimenticato come la pornografia rappresenti, secondo quanto messo in luce da Wyre (1987), un passatempo preparatorio per l’azione pedofila. Eppure, mentre – giustamente – l’indignazione si spreca contro qualsivoglia abuso contro i bambini, quasi nessuno si prende la briga di sollevare quanto meno il dubbio che l’abnorme espansione del mondo a luci rosse possa costituire un pericolo. Per i bambini, come dicevamo poc’anzi, ma anche per le donne. Ci sono infatti numerosi studi, ad esempio quelli di Ertel (1990) Bohrer (1992), che hanno evidenziato come si via correlazione tra il consumo pornografico e il deterioramento della considerazione della dignità della donna, che viene sempre più declassata a mero strumento di piacere.
Particolarmente significativa, a questo proposito, una lettera pubblicata nel libro di Lorella Zanardo, Il corpo delle donne (Feltrinelli 2010): «Sono un ragazzo di 24 anni cresciuto con il porno su internet. Quando guardo le mie coetanee, non vedo che difetti. E’ molto più facile stare davanti al pc che impegnarsi in un rapporto umano. Nel corso del tempo mi sono reso conto che il sesso ha influenzato le mie fantasie, non sogno altro che una donna da trattare come nei film». Testimonianze simili, che attestano come il consumo di materiale a luci rosse rappresenti una nefasta propaganda contro la dignità della donna, non sono affatto rare perché, come scrive Annalisa Verza nel suo Il dominio pornografico (Liguori 2006), la «pornografia, in quanto connubio di sesso e potere, non contempla l’uguaglianza. Non può farlo. L’uguaglianza, infatti, eliminerebbe il potere, il concetto chiave della pornografia, il quale abbisogna per la sua pensabilità, di asimmetria. Il sogno venduto dalla pornografia dipinge le donne in balia del potere».
Un altro grave aspetto legato alla pornografia concerne la forte dipendenza che essa provoca. Gli americani – da sempre in anticipo sui tempi – l’hanno classificata tra le new addictions, le nuove dipendenze. E anche se molti hanno ne hanno sentito parlare solo in seguito alle dichiarazioni di Tiger Woods, Michael Douglas e David Duchovny – vip che hanno ammesso pubblicamente la loro dipendenza dal sesso – il nostro Paese non è estraneo al fenomeno, anzi: sarebbero un milione e mezzo, secondo stime prudenti, gli italiani ad esserne colpiti. Per fronteggiare questa emergenza stanno finalmente nascendo, anche da noi, cliniche specializzate. La prima è stata inaugurata qualche anno fa a Bolzano ed è gestita dalla Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive.
Il punto è che purtroppo la dipendenza dal sesso, a livello sociale, non è ancora percepita come un problema; chi si ubriaca è ritenuto un alcolizzato, chi ricorre a droghe un tossicodipendente, mentre chi fa incetta di materiale hard, quasi sempre, passa per un innocuo cultore del genere. Un equivoco, questo, che spiega tante cose. A cominciare dal fatto che spesso ci si dimentica che, prima di essere un business e una dipendenza, la pornografia è qualcosa di profondamente immorale e umiliante. Mercifica il corpo delle donne e degli uomini che – né più né meno di chi si prostituisce sui marciapiedi – fanno del sesso un mestiere, e ferisce l’anima di quanti, senza accorgersene, finiscono col confondere il sentimento con la prestazione, l’amore col piacere, l’unione col dominio. E, quel che è peggio, dimenticano che, come uomini, siamo stati creati per essere liberi, per non accontentarci e per scavare oltre la superficie delle relazioni. Per vivere un Amore più grande.
di Giuliano Guzzo