E’ stato pubblicato in inglese un libro inchiesta volto ad abbattere il mito dei “professionisti del sesso” che svela connessioni inquietanti tra lo sfruttamento della prostituzione e taluni paladini dei diritti umani che dicono di voler lottare contro l’AIDS e le malattie sessualmente trasmissibili.
L’autrice è Julie Bindel è una rinomata giornalista laica e femminista inglese fondatrice di Justice for Women. Scrive per The Guardian , New Stateman, Truthdig e Standpoint Magazine e frequentemente appare sulla BBC e Sky News.
Il titolo in italiano del suo ultimo libro è “Lo sfruttamento della prostituzione – abolire il mito dei professionisti del sesso” (The Pimping of Prostitution – Abolishing the Sex Work Myth, Palgrave MacMillan, 2017),
Nel corso di due anni, la Bindel ha condotto 250 interviste in quasi 40 paesi, città e stati, viaggiando in Europa, Asia, Nord America, Australia, Nuova Zelanda e Africa orientale e Sudafrica. Ha visitato i bordelli legali di tutto il mondo, ha conosciuto prostitute e gigolò, gente che lavora nel campo della pornografia, sopravvissuti al commercio sessuale e donne vendute da uomini classificati come “imprenditori di affari”.
Ha incontrato gli abolizionisti dei reati annessi alla prostituzione e al commercio del sesso, funzionari di polizia e di governo, ha scoperto le menzogne, i falsi miti e l’attività criminale che avvolgono questo business globale e invoca maggior tutela verso le donne oppresse che sono coinvolte nel mestiere più antico del mondo.
La legalizzazione della prostituzione in Germania, Olanda e Australia non fatto diminuire il contagio di AIDS né gli omicidi di prostitute. A Melbourne un’attivista dei diritti delle “lavoratrici del sesso” ha ammesso che la legalizzazione non ha fatto alto che «dare più potere ai clienti e ai proprietari di bordelli».
In particolare, la Bindel rileva che la percezione popolare comune del movimento che dice di lottare contro l’AIDS è costituito da attivisti di diritti umani, esperti medici e scienziati, alla ricerca di migliori metodi di prevenzione e, infine, di una cura. Ma la Bindel denuncia il fatto che nell’ambito di coloro che si battono contro l’AIDS circolano enormi quantità di denaro volte a modellare la politica, la pratica e la legislazione sul commercio globale del sesso.
In particolare, i programmi di “sesso sicuro” in realtà nascondono l’intento di incentivare gli uomini a continuare a pagare il sesso. Infatti, la lobby pro-decriminalizzazione dei reati annessi al commercio del sesso e alla prostituzione si intreccia e si insinua anche tra gli attivisti per la lotta contro l’AIDS. A cominciare da Amnesty International, dice la Bindel.
Per esempio, dice sempre la Bindel, molti sostengono che i tassi di contagio diminuirebbero se il sesso a pagamento fosse legalizzato e regolamentato. Viceversa ella dimostra che la legalizzazione è più dannosa per le donne (e in genere per “i professionisti del sesso”) e consente molti più abusi.
Sempre secondo la Bindel, anche la lobby gay è coinvolta in tutta la faccenda, dato che i gay sono particolarmente vulnerabili all’AIDS e quindi dovrebbero essere interessati al “sesso sicuro”. Raccoglie dati e fa diversi esempi concreti: il mondo della liberalizzazione della prostituzione, dei diritti LGBT e della lotta all’HIV è rappresentato dalle stesse persone, come Andrew Hunter, un attivista gay, in Australia, morto nel 2013, che è diventato presidente di diverse organizzazioni volte alla legalizzazione del sesso a pagamento e membro del programma congiunto delle Nazioni Unite per la lotta all’HIV (UNAIDS).
Dalla fine degli anni ’80, spiega la Bindel, la politica pro prostituzione è stata determinata dal finanziamento delle campagne contro l’AIDS, dalla Fondazione Bill e Melinda Gates e dall’Open Society di George Soros, che è un importante donatore per Amnesty International, Human Rights Watch e UNAIDS, ma anche di numerosi gruppi di lobbying pro-prostituzione in tutto il mondo.
I dati più recenti riportati dalla Bindel, evidenziano che del 2013 56 ONG hanno finanziato con 9,6 milioni di dollari (8 milioni di euro) i progetti pro decriminalizzazione del sesso a pagamento. I primi cinque donatori sono stati la Open Society Initiative, la Ford Foundation, l’American Jewish World Service, il Red Umbrella Fund e il Mama Cash (un fondo pro-prostituzione per le donne con sede nei Paesi Bassi). Dei 9,6 milioni di dollari: 3,6 milioni di euro (3 milioni di euro) sono stati investiti in salute, 1,68 milioni di euro (1,4 milioni di euro) nel servizio legale e le restanti 5,3 milioni di euro in lobbying tra i politici.
Sono gli stessi attori chiave della politica contro l’AIDS. L’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID) è il finanziatore più importante del mondo delle ONG, con 22,3 miliardi di dollari stanziati per essere distribuiti a varie organizzazioni.
Nel 2005, l’USAID è stata portata in tribunale dall’Open Society perché dava le sue elargizioni solo a chi dichiarava di voler combattere il commercio del sesso.
Scrive la Bindel: «Piuttosto che criticare il commercio del sesso come uno stile di vita pericoloso per coloro che sono coinvolti, il messaggio inviato al pubblico e agli “utenti” del “servizio” è la minimizzazione del danno per ridurre il rischio. Il preservativo è stato presentato come la soluzione sicura per salvare la salute e le opportunità di esaminare e combattere i pericoli del commercio sessuale sono state trascurate».
Le Donne della Redazione
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