Steven Ertelt, su LifeNews.com, ci informa dell’ennesimo caso di un paziente dato per clinicamente morto, pronto per l’ espianto degli organi, che “risuscita”.
Sam Schmid, uno studente di college dell’Arizona, era in coma dall’ottobre di due anni fa, a seguito di un incidente d’auto. Quando i funzionari dell’ospedale hanno iniziato le cure palliative e stavano accordandosi con i genitori per l’espianto degli organi, Sam ha mosso due dita. Ora è perfettamente guarito. Potete leggere la storia intera su ABC News .
Speriamo che la comunità scientifica bioetica ritorni a definire la morte secondo il suo significato naturale, biologico. Negli ultimi tempi, da quando si è fatto grossi progressi con i trapianti, si sta cercando di far passare una definizione di morte basata sull’utilitarismo e su questioni sociologiche: ci sono infatti migliaia organi perfettamente ben funzionanti, utilizzati da persone che “non ne hanno più tanto bisogno”, in quanto menomate, o in coma. Quindi, la definizione di morte è stata allentata per includervi, per esempio, le diagnosi di stato vegetativo persistente… Insomma, alla base c’è la solita ideologia oppressiva dei forti sui deboli: “io (sana ricca e potente) ho bisogno di un fegato. Tu (povero sfortunato paralizzato, chissà se mai ti riprenderai) ce l’hai, ma lo usi solo per stare ad occupare un letto d’ospedale: quindi il fegato dallo a me, che a te faccio pure un piacere se ti risparmio la noia di vivere una vita non degna di essere vissuta” …
Francesca Romana Poleggi