19/03/2025 di Redazione

Scuola. Perché la proposta di una Pedagogia di Genere è pericolosa

Recentemente, nel dibattito sull’educazione al rispetto e contro la violenza sulle donne - in particolare da tenersi nelle scuole -, ha preso piede la proposta di rendere obbligatoria per gli insegnanti la cosiddetta “Pedagogia di Genere”. Un’idea avanzata dalla Fondazione Cecchettin, tramite un’intervista del suo presidente, Gino Cecchettin, al Corriere della Sera, ma che in realtà può essere qualcosa di molto pericoloso per l’educazione dei nostri figli e nipoti.

Cos'è la Pedagogia di Genere

La pedagogia di genere è un approccio educativo che - oltre a fondarsi sul sano e sacrosanto rispetto reciproco che si deve avere tra uomini e donne, tra maschi e femmine - si fonda anche sulle teorie del gender, secondo cui le differenze proprio tra uomini e donne non sono di natura biologica, ma piuttosto costrutti sociali che possono essere modificati. Dunque l’ormai nota - ahinoi - teoria gender che, come appunto sappiamo, sostiene che il genere non sia un aspetto determinato dalla biologia, ma una costruzione culturale e sociale, che può essere cambiata e adattata a seconda delle preferenze individuali. La pedagogia di genere, dunque, promuove anche l'idea che i bambini possano essere educati a riconoscere e a vivere una pluralità di identità sessuali, senza alcun legame con il sesso biologico di nascita. In altre parole, l'approccio si concentra sul superamento dei ruoli di genere tradizionali (maschile e femminile), introducendo la possibilità di esplorare identità di genere fluide e non rigidamente definite. Tuttavia, molti critici, tra cui Pro Vita & Famiglia, considerano questo approccio pericoloso, poiché potrebbe confondere i bambini riguardo alla loro identità sessuale, minando la comprensione di se stessi e delle proprie caratteristiche biologiche.

I pericoli della proposta e il mantra del “patriarcato”

Un nome centrale in questa proposta sembra essere quello di Irene Biemmi, docente di Pedagogia di genere all’Università di Firenze e membro del comitato scientifico della Fondazione Giulia Cecchettin. Biemmi, infatti, è autrice di numerosi testi che trattano di gender, Lgbtqia+ e della visione di un genere fluido, privo di legami biologici. Libri che sottintendono - e neanche troppo velatamente - l’intenzione di "far comprendere" ai docenti e agli studenti l’esistenza di identità sessuali fluide, dove le categorie di maschio e femmina non sono più considerate fisse e naturali, ma costruzioni che possono essere modificate a piacimento. Le implicazioni di questa visione ideologica sono estremamente preoccupanti. La pedagogia di genere, se introdotta obbligatoriamente nelle scuole, potrebbe portare a una confusione nella formazione dell’identità sessuale dei bambini e degli adolescenti poiché la negazione delle differenze biologiche tra maschio e femmina non solo mette in discussione verità scientifiche fondamentali, ma rischia anche di confondere i più giovani, spingendoli a mettere in dubbio la loro identità. La teoria del genere fluido - che infatti anche Biemmi promuove - rischia in tal senso di erodere il concetto di identità stabile e naturale, creando disorientamento tra i ragazzi, che potrebbero sentirsi spinti a esplorare e sperimentare vari ruoli di genere senza una comprensione chiara e completa della loro identità. In tal senso, poi, è ormai diventato un mantra quello di dare la colpa sempre al “patriarcato” e mettere così in contrapposizione uomini e donne. Lo ha fatto anche la stessa Biemmi. Al netto della giusta e sacrosanta lotta contro la violenza sulle donne, e dell'indignazione per il brutale assassinio di Giulia Cecchettin, fu estremamente preoccupante, infatti, che, nell'ambito della presentazione della Fondazione dedicata proprio a Giulia - a novembre 2024 - la stessa pedagogista insistette nel parlare di “patriarcato” quasi come il principale problema della nostra società. Nel suo intervento alla Camera dei deputati, la Biemmi disse che i libri di testo delle scuole primarie sarebbero permeati da una cultura patriarcale e sessista, accusando la società di rimanere ancorata a stereotipi di genere obsoleti e dannosi. E’ oggettivamente breve il passo che separa questa concezione di reputare il “patriarcato” come male assoluto e le normale e biologiche differenze tra uomini e donne come “obsolete” e “dannose” dalla concezione di una sessualità fluida e indiscriminata, per giunta da propugnare a docenti e studenti.

La necessità di tutelare la libertà educativa

Di fronte a questa proposta, Pro Vita & Famiglia ha preso una posizione chiara, non solo denunciando la propria preoccupazione per queste possibili derive gender, ma anche chiedendo al Ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara di opporsi fermamente all’introduzione obbligatoria della pedagogia di genere nelle scuole italiane e chiedendo con urgenza - come già fatto con la nuova Campagna “Mio Figlio No” - l’istituzione di una legge ad hoc per garantire la libertà educativa dei genitori, affinché possano tutelare i propri figli da tali approcci ideologici e in generale da tutte le volontà di indottrinamento Lgbtqia+ che ben sappiamo si vuole far entrare nelle classi italiane: progetti gender, letture di libri ideologicamente orientati o dai contenuti scabrosi e sessualmente espliciti, fino ad arrivare alla ancora più inquietante e pericolosa Carriera Alias per far cambiare identità anagrafica a chi semplicemente lo desidera.


 

 

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