In merito alle proposte di legge relative all’educazione “di genere” che sono in discussione alla Camera, la Commissione Cultura di Montecitorio ha disposto l’audizione anche di ProVita.
Alle 14:00 del 15 settembre 2016 il Presidente di ProVita Onlus, Toni Brandi, dopo aver ringraziato per l’invito, ha invitato i Deputati a riflettere che, se è un’intenzione lodevole quella di voler prevenire la violenza e il bullismo, i mezzi che si propongono a tal fine e il tipo di educazione che si vorrebbe introdurre sono discutibili e potenzialmente pericolosi.
È opportuno esporre studenti e bambini in tenera età a temi controversi, che toccano la loro stessa identità sessuale?
Il dott. Alessandro Fiore, portavoce di ProVita, ha quindi sintetizzato i concetti principali contenuti nella memoria che è stata consegnata alla Commissione (raccomandiamo la lettura del documento integrale a tutti coloro che si trovassero nel dubbio o a chi volesse approfondire in modo rigoroso e scientifico la questione).
Fiore ha detto, tra le altre cose: «La “Documentazione per l’esame dei Progetti di legge” individua la centralità della Convenzione di Istanbul come punto di riferimento delle proposte di legge. Tuttavia una circostanza importante sembra essere omessa: il Governo italiano, in sede di firma della Convenzione di Istanbul, era consapevole dell’intrinseca problematicità del concetto di “genere”, tanto che depositò presso il Consiglio d’Europa una nota verbale con la quale dichiarava che “applicherà la Convenzione nel rispetto dei princìpi e delle previsioni costituzionali”. La dichiarazione interpretativa era motivata dal fatto che la definizione di “genere” contenuta nella Convenzione (l’art. 3, lettera c) era ritenuta “troppo ampia e incerta e [presentava] profili di criticità con l’impianto costituzionale italiano”.
Non tenere conto quindi di questa problematicità, contrasterebbe con il modo in cui l’Italia ha voluto assumere gli obblighi derivanti dalla Convenzione di Istanbul.
«Che cosa è il “genere”?», chiede ProVita
L’incertezza deriva dall’ambiguità della concezione di “genere”, la quale assume almeno tre vesti:
1. genere come percezione o costruzione prevalentemente sociale (espresso anche come “ruolo di genere”);
2. genere come percezione prevalentemente soggettiva (espresso anche come “identità di genere”);
3. genere come combinazione dei due elementi, che può includere oppure ignorare un riferimento stabile al sesso biologico, oppure anche all’orientamento sessuale. Come fa Facebook.
Una concezione di genere come quella fornita dalla Convenzione di Istanbul, la quale si avvicina di più alla prima ipotesi, oggi tende a lasciare spazio a una concezione in cui prevale l’elemento soggettivo – cioè l’identità di genere – per cui il vero “genere” di una persona sarebbe maggiormente correlato all’auto-percezione soggettiva, che a qualunque altra cosa. Questa tendenza è presente nelle posizioni dello stesso Consiglio d’Europa, nella Risoluzione 2048 del 2015, secondo la quale l’identità, il genere di una persona, dovrebbe essere il risultato di un puro atto di autodeterminazione.
L’incertezza nella concezione di genere si evince grazie ad una semplice domanda: quanti sono i generi? (2? Almeno 3 per Consiglio d’Europa; 5? 23? Numero indefinito?).
ProVita espone le derive ideologiche del “genere”
La storia degli studi di genere è stata sempre legata a impostazioni perlomeno parzialmente ideologiche, che si basano su una presunta irrilevanza del sesso biologico nella sfera psicologica e sociale.
Questa impostazione dimentica che il sesso biologico ha un carattere fondamentale rispetto all’identità personale. Non ha una valenza puramente genitale, ma comprende tutta una serie di caratteristiche fisiche (genetiche, morfologiche, funzionali, ormonali) che hanno influenza persino sulla strutturazione dell’encefalo, e quindi sul profilo psicologico.
Riguardo al tema del “ruolo di genere” noi non sosteniamo che la natura abbia un ruolo esclusivo nella formazione di ciò che è (o viene considerato) “maschile” o “femminile”, determinando ruoli e comportamenti.
È la prospettiva di genere invece, che commette l’errore diametralmente opposto: il sesso biologico non avrebbe nessuna influenza sulla formazione di comportamenti, ruoli e pratiche sociali “femminili” o “maschili”. Si potrebbe dire che il sesso è totalmente separabile dal genere.
Questa impostazione è ideologica: è vero che la cultura ha un ruolo nella formazione dei cosiddetti “ruoli di genere”. Tuttavia il sesso biologico, pur non determinando ruoli e comportamenti, ha una sicura influenza sugli stessi. Parliamo dunque di “influenza” e non di “determinazione” riguardo i comportamenti “maschili” e “femminili”.
Un esempio: nella prospettiva di genere, spesso si sente dire che i bambini e le bambine, “ad un certo punto”, comincerebbero a interiorizzare comportamenti stereotipati di genere, i quali determinerebbero – a titolo di esempio – che i maschi cominciano a giocare in modo più aggressivo e violento rispetto alle femmine, in quanto corrisponderebbe in qualche modo al “ruolo di genere” del maschio, cioè una costruzione puramente socio-culturale.
È innegabile invece che ci sia un’influenza del sesso biologico. L’atteggiamento più “aggressivo” è infatti ampiamente condizionato da un fattore ormonale, e cioè dai livelli più alti di testosterone caratterizzanti il sesso maschile. I diversi livelli di testosterone sono associati del resto anche ad altri comportamenti che possono avere ricadute sociali, come nella modulazione della risposta sessuale e dell’atteggiamento competitivo.
Sono tante le differenze sessuali anche a livello dell’encefalo collegabili a diverse tendenze maggiormente presenti nelle donne oppure negli uomini. Queste sono presenti nella diversa lateralizzazione di alcune funzioni encefaliche, nella diversa capacità di coordinamento motorio-spaziale e, ad esempio, nella tendenziale maggiore capacità di memoria, socializzazione e linguaggio che hanno le donne rispetto agli uomini. Tutto ciò ha una sua influenza sui comportamenti nella società.
ProVita espone il cosiddetto “paradosso norvegese”.
Diverse ricerche hanno mostrato come la tendenziale diversità delle scelte lavorative di femmine e maschi a livello mondiale, non è esclusivamente riconducibile a fattori culturali. Anzi, abbiamo un vero e proprio “paradosso”: la diversità nelle scelte è più accentuata proprio in società con un alto livello di “parità di genere”, come la Norvegia. Studi condotti su più di 200mila soggetti appartenenti a 53 diverse nazioni indicano che la tendenziale diversità in alcuni tratti caratteriali (estroversione, assertività, ecc.) e nelle preferenze lavorative tra uomini e donne è spiegabile solo in misura ridotta dalla cultura, mentre il sesso biologico assume un peso molto più rilevante.
In seguito alla divulgazione di queste ricerche, è significativo che il “Nordic Council of Ministers” abbia deciso di togliere i finanziamenti e portare alla chiusura del “Nordic Gender Institute”, importante promotore degli studi di genere in Norvegia.
ProVita spiega i progetti che si realizzano nelle scuole
Sono già state promosse in molte scuole italiane iniziative basate sull’impostazione di genere e qualcuna basata anche sulla fluidità di genere. Si può vedere un elenco corposo – e non esaustivo – degli stessi sul nostro sito.
Esempio, fra tanti, Fiore ha citato davanti ai Deputati lo spettacolo teatrale “Fa’afafine”, rivolto ai bambini dall’età di otto anni e incluso nelle proposte didattiche di alcuni istituti.
Nella presentazione dello spettacolo si legge: «Alex […] vorrebbe anche lui essere un “fa’afafine” [un vero e proprio terzo sesso]; è un “gender creative child”, o semplicemente un bambino-bambina […] Alex ha sempre le idee chiare su ciò che vuole essere: i giorni pari è maschio e i dispari è femmina, dice». In alcune presentazioni i promotori pongono la seguente domanda: «Avete mai sentito parlare di bambini gender fluid o gender creative?». Il messaggio dello spettacolo non è semplicemente quello di rispetto, assolutamente condivisibile, verso un bambino con disforia di genere, ma la proposizione di un fantomatico “terzo sesso”, della fluidità di genere, e della non problematicità del disallineamento tra identità di genere e sesso biologico.
Le medesime criticità compaiono in libri per bambini, presenti nelle biblioteche e inseriti talvolta in progetti scolastici.
Esempi sono molti libri della casa editrice “Lo Stampatello” che affronta spesso il tema dell’omogenitorialità: tema caro alla prospettiva di genere in quanto, se la famiglia è il primo nucleo sociale e il sesso è separato dal genere (cioè dalla dimensione sociale), allora il sesso dei genitori è indifferente. Prendiamo il caso della fiaba Perché hai due papà?, che è stata proposta in asili nido. Si tratta della storia di una coppia gay che ricorre all’utero in affitto per avere dei bambini. È preoccupante non solo l’introduzione nelle scuole di temi così controversi quando si tratta di bambini così piccoli, ma ancor di più la presentazione della pratica dell’utero in affitto come cosa “meravigliosa”. Si fa, in altri termini, una sostanziale apologia e promozione verso l’infanzia, di ciò che costituisce reato nel nostro paese (Legge 40/2004).
Si comprende dunque facilmente come l’introduzione dell’ottica di genere nel sistema educativo (persino dall’asilo nido) contrasti con l’educazione impartita da una grande percentuale di famiglie italiane ai propri figli.
ProVita espone alcune criticità particolari nelle proposte di legge in esame, sull’educazione di genere
Le criticità sopra esposte si ritrovano in quasi tutte le proposte di legge, non solo per la generica prospettiva di genere ma a causa di formulazioni più esplicite.
Ad esempio, A.C. 1944 e A.C. 3022, all’art. 1 c. 2, si riferiscono alla necessità di adottare «misure educative volte alla promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare […] pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza […]». Ora, la pratica di separare i servizi igienici di uomini e donne, il matrimonio, la distinzione tra categorie maschili e femminili nelle competizioni sportive, sono tutte «pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza». Le proposte intendono eliminare tutte queste realtà? La risposta sembrerebbe dover essere affermativa.
Una prospettiva soggettivistica sembra animare la proposta A.C. 1230, laddove nel testo introduttivo si afferma la necessità di «favorire una formazione che permetta a ogni studente di decidere e di costruire la propria identità […]»: sembra implicare una prospettiva vicina alla “autodeterminazione del proprio genere” di cui si è discusso sopra.
A prescindere da altri profili critici, si eviterebbero almeno l’incertezza nell’applicazione e le problematiche esposte di natura ideologica, sostituendo i riferimenti al “genere” con riferimenti al concetto di “sesso” il quale è, da una parte, molto più facilmente oggettivabile e meno controverso, dall’altra offre sicuro ancoraggio nella Costituzione (che parla ad esempio di pari dignità e uguaglianza di fronte alla legge «senza distinzione di sesso» all’art. 3 Cost.), come fa del resto la proposta A.C. 3423.
Redazione
Qui la videoregistrazione del’intervento di ProVita
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