La Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli, più nota come Luiss, è senza dubbio un’accademia prestigiosa, un importante punto di riferimento culturale, ed anche una fabbrica di élite politiche e sociali, con una storia di ormai quasi mezzo secolo alle spalle.
La Verità di domenica scorsa – con un articolo a firma di Francesco Borgonovo – ha gettato però luce su un’apparente trasformazione “sociale” in atto proprio all’interno dell’ateneo. Il tutto a causa di un documento prodotto nel settembre scorso.
In tale documento, che pare un concentrato di conformismo, pensiero unico e ideologia woke, si parla delle «linee guida per la sostenibilità nella realizzazione degli eventi».
Il criterio della sostenibilità è ambiguo perché dentro vi può essere di tutto. Ma può essere anche declinato in modo realmente ecologico, economico e corretto. In questo caso però, il criterio adottato dall’ateneo include, come riporta Borgonovo, tre discutibili “punti cardinali”: Gender Diversity, Inclusion, Environment.
Circa il concetto di “Gender Diversity”, il documento spiega che ogni evento organizzato dalla Luiss deve essere «gender compliant», cioè rispettoso dei generi. Verrebbe voglia di chiedersi quali, visto che, teorie (antiscientifiche) diverse ne ammettono un numero impreciso e disparato.
Il documento sembra associare qui il genere al sesso biologico (uomo e donna). Si afferma quindi che si richiedono 3 requisiti per evitare ingiuste discriminazioni negli eventi: «La presenza di almeno 1/3 del genere meno rappresentato tra i componenti dei panel/tavoli; l’equilibrio nell’ordine di intervento e nei contenuti della discussione (…); la presenza di almeno il 20% del genere meno rappresentato».
Gli illustri accademici dell’ateneo si sono resi conto di quello che hanno messo nero su bianco? In nome della indefinibile “diversity” si sarebbe dunque vietando, tanto per fare un esempio, una riunione di (sole) donne. O di ragazze madri che intendono confrontarsi – tra donne – sulla loro esperienza. O di sole studentesse che intendono sollevare un problema che le riguarda in quanto ragazze. Perché in questi eventi mancherebbe il genere maschile. E dunque viceversa.
Neppure tre economisti o giuristi o medici o professori di qualsiasi disciplina di sesso maschile (o femminile) potrebbero dunque presiedere congiuntamente – e da soli – ad un evento. Perché sarebbe assente «il genere meno rappresentato».
E se agli eventi, guidati da docenti misti (secondo le matematiche proporzioni della Gender Luiss diversity), e con un pubblico altrettanto misto (per cui in teoria alcuni non potrebbero partecipare), dovessero esserci delle domande, che si fa? Semplice, gli interventi del pubblico dovranno essere «paritari anche nel gender». E lo stesso per i «posti riservati per gli ospiti di prestigio»
Ci sono però corsi e indirizzi che richiamano più ragazze o più ragazzi, e anche in tantissimi licei, per fare un esempio, è impossibile garantire una stretta “parità di genere”. Se non obbligando alcuni studenti o cacciandone altri.
E visto che non c’è limite alla follia, pardon all’ideologia, il documento non si limita ai congressi e alle sessioni universitarie. Perfino per un servizio di catering o di pulizie, la Luiss richiede «pari numero di cameriere e camerieri e inservienti». Una ditta che impiegasse solo uomini o solo donne sarebbe (assurdamente) bandita?
Forse se perfino le accademie di prestigio internazionale sono giunte a queste assurdità concettuali, è il segno che bisogna fare di tutto per contrastare le “colonizzazioni ideologiche” e la “dittatura del relativismo”.