Si è espresso in modo chiaro, anzi inequivocabile, su uno dei referendum più “scottanti” proposti per questo 2022 appena iniziato, quello che vorrebbe la legalizzazione della cannabis e degli oppiacei, il magistrato Alfredo Mantovano, in un intervento ripreso anche dal Foglio. Mantovano ha definito, senza giri di parole, il referendum sulla cannabis legale una “frode da etichetta”. A Pro Vita & Famiglia ha spiegato il perché e tutti gli aspetti controversi dell’oggetto di questo referendum.
Il ‘referendum cannabis legale’ promosso dai radicali, Lei l’ha definito una “frode da etichetta”, ci spiega Perché?
«Perché c’è una denominazione data dal comitato promotore a cui non corrisponde il contenuto del quesito referendario. Nel senso che il quesito referendario, quindi quello che andrà, se la Corte Costituzionale lo riterrà possibile, sulla scheda consegnata nelle mani degli elettori, prevede l’abrogazione di qualsiasi tipo di sanzione detentiva (quindi resta solo la multa) per la coltivazione di qualsiasi tipo di droga, quindi non soltanto cannabis o le droghe contenute nelle tabelle cosiddette “leggere”, ma anche gli oppiacei e la coca. Poi è prevista l’eliminazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per chi è condannato per reati di droga, qualsiasi tipo di droga. E, inoltre, da ultimo, viene dichiarato legale il traffico delle sostanze oggi ritenute impropriamente leggere, in primis la cannabis. Quindi è il caso di chiamare le cose col loro nome e di parlare di referendum droga legale e non referendum cannabis legale»
Il quesito referendario è ingannevole?
«Più che il quesito referendario è ingannevole l’oggetto indicato. Nel senso che poi è difficile che la gente vada a prendersi i disegni di legge indicati, ma le persone sono orientate nella loro scelta da quello che viene indicato come oggetto. Tant’è vero che la Corte di Cassazione che ha voce in capitolo proprio nella verifica della fedeltà dell’oggetto, ancora si deve pronunciare. La prossima seduta sarà lunedì ma ci sono dei rilievi formulati proprio sulla denominazione “cannabis legale”. Quindi è molto probabile che l’oggetto sarà precisato».
Il cavallo di Troia, per arrivare alla legalizzazione tout court, è oggi rappresentato dagli usi medici della cannabis come palliativo. Se vincessero i sì al referendum sulla cannabis, davvero si risolverebbero le restrizioni sulle cure palliative?
«E’ totalmente falso. Le cure palliative purtroppo non funzionano perché la legge che le prevede, la legge 38 del 2010, non è mai stata adeguatamente finanziata. Per cui mancano, perlomeno in numero adeguato, le scuole di formazione, sia per i medici, sia per il personale sanitario palliativista. Non c’entra niente la disponibilità della cannabis che già c’è. Ma c’è molto di più. E’ nella pratica medica da sempre, l’utilizzo della morfina. Sappiamo che la morfina è ricavata dall’oppio e quindi ha una catalogazione di maggiore gravità rispetto alla cannabis. Per cui se vengono utilizzate queste sostanze, quando lo ritengono opportuno i medici, per lenire il dolore, significa che è già possibile questo. Sostenere il contrario è dire una cosa che non ha nessun fondamento nella prassi quotidiana».
Di fronte a tutto questo c’è l’assordante silenzio del governo. Eppure, c’è un Dipartimento Antidroga, che fa capo alla Presidenza del Consiglio che fornisce dati ufficiali e importanti sui danni della cannabis. Vogliamo commentare?
«Io distinguerei due aspetti: il Dipartimento Antidroga della Presidenza del Consiglio, ogni anno pubblica una relazione che è rinvenibile sul sito del Dipartimento stesso ed è una relazione molto ampia, completa e dettagliata. Certo non si fa mistero dei danni relativi alla cannabis e della correlazione di questi danni con comportamenti criminali ed incidenti stradali ecc. Quindi il Dipartimento negli anni, ha fatto sempre delle relazioni molto puntuali. Quello che a me sconcerta e come Centro Studi Livatino abbiamo detto pubblicamente, è che il presidente del consiglio ha annunciato che, nel giudizio di ammissibilità davanti alla Corte Costituzionale, di questo referendum, come di quello sull’omicidio del consenziente, il governo non si costituirà per sostenere le ragioni di non ammissibilità e, anzi, la stessa presidenza del consiglio ha fatto di più: ha in qualche modo vantato di aver spostato in avanti il termine per la raccolta delle firme che se fosse stato quello di legge, previsto prima dell’intervento del governo, sarebbe dovuto essere il 30 settembre. Al 30 settembre, le firme per il referendum sulla droga non c’erano, nonostante la raccolta online. La proroga del governo, che non ha precedenti, ha reso possibile superare le 500.000 firme. Per cui, se oggi abbiamo questo referendum è perché il governo ha fatto questa scelta ed è una scelta che va in controtendenza rispetto a quello che lo stesso dipartimento antidroga da sempre denuncia come un pericolo».