11/10/2023 di Giuliano Guzzo

Ricordate la condanna UE all’utero in affitto? Non è tutto oro quel che luccica, ecco perché

Neppure il tempo di tirare un bel sospiro di sollievo, che subito arriva una doccia fredda. Il riferimento è al riconoscimento – risalente a qualche giorno fa - dell’utero in affitto come reato relativo alla tratta degli esseri umani, avvenuto all’interno della Commissione Libe del Parlamento Europeo. Un riconoscimento senza dubbio positivo, tanto è vero che anche Pro Vita & Famiglia non ha mancato di darne notizia, non essendo ormai, come si suol dire, una cosa che capiti tutti in giorni, soprattutto sul versante europeo. Il punto è che si tratta di una vittoria importante, ma a metà.

Infatti, se si va a spulciare per bene il documento finale approvato si scopre come il riferimento alla maternità surrogata sia circoscritto, come notato pure da Avvenire, alla fattispecie dei «fini di sfruttamento riproduttivo». In altre parole, secondo il Parlamento europeo la cosiddetta “surrogata solidale” non è reato. Non solo. Il testo finale contiene anche, ha opportunamente rilevato sempre il quotidiano della Cei, un passaggio controverso che mette in guardia dalla discriminazione non solo «sulla base del sesso, genere, razza o origine etnica», ma anche di «identità di genere, espressione di genere e caratteristiche sessuali o la combinazione di entrambe».

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Insomma, anche se si sta parlando di utero in affitto una spruzzatina di ideologia gender, anche qui, è stata messa. Ma anche volendo sorvolare su questo già grave aspetto, tornando a noi, la mancata condanna europea alla cosiddetta “surrogata solidale” appare molto grave. Per un motivo semplice: la “surrogata solidale” non esiste. Parliamo infatti sempre e comunque di una pratica in cui circola del denaro (presentato sotto forma di rimborso spese anziché compenso), in cui una donna sottoscrive un contratto e soprattutto in un cui un essere umano viene trattato come merce: “commissionato”, “prodotto” e infine “ceduto” al committente.

Insomma, benché chiamata “surrogata solidale” la pratica in questione resta moralmente ripugnante e inaccettabile; e perfino dove formalmente è legale da anni e anni sotto questa forma – come nel Regno Unito – si conferma essere truffa in piena regola, un volgare gioco di prestigio. Parola, tra le tante, di Julie Bindel, scrittrice femminista radicale ed attivista britannica che da decenni assiste le donne processate per aver ucciso i loro partner violenti. Non parliamo, insomma, d’una bigottona, bensì di una intellettuale impegnata e progressista. Ebbene, nell’ottobre 2020, sul londinese Evening Standard, la Bindel ha firmato un intervento che fa a pezzi la bufala proprio della “gravidanza solidale”, la stessa che l’Europa pare finge di non vedere.

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«Parlare di “maternità surrogata altruistica” ossia di un accordo per cui la madre surrogata può agire solo liberamente e dietro rimborso spese», aveva infatti scritto la Bindel, «è fuorviante. In Gran Bretagna una madre surrogata può richiedere fino a 15.000 sterline di rimborsi spese, che equivalgono allo stipendio annuale per molte donne con un lavoro a bassa retribuzione».

A seguire, la celebre femminista sempre nello stesso articolo aveva riportato testimonianze forti e che sarebbe eufemistico definire da brivido. «Ho parlato con una donna britannica», ricordava, «che è stata costretta dal marito violento a stipulare un accordo di maternità surrogata per saldare i suoi debiti» Non è abbastanza per capire quale inganno si celi in pratica dietro i nastrini arcobaleno della “gravidanza solidale”? No? Allora proseguiamo. «A un’altra donna, con peraltro già due figli suoi», continuava sempre l’insospettabile Bindel, «è stato chiesto di portare un bambino per una coppia gay; e non appena è rimasta incinta, i genitori committenti hanno tentato di controllare la sua vita, dettando cosa poteva mangiare e bere, mandandole messaggi costantemente. “Ero considerata una loro proprietà”, mi ha confidato».

Domanda: ma se la “surrogata solidale” è questa roba qui non in qualche staterello retrogrado, bensì nel civilissimo Regno Unito, come si fa a non condannarla? Come si può cioè, come ha fatto la Commissione Libe del Parlamento Europeo, da una parte condannare l’utero in affitto e dall’altro fingere che ne possa esistere una variante buona? Se una pratica è disumana, lo è sempre. In tutte le sue forme. Tanto più, lo si ripete, che a conti fatti la differenza tra l’utero in affitto e la sua versione solidaristica appare più un gioco di parole, che latro. La sostanza risulta difatti sempre quella, così come l’umiliazione di un neonato ceduto come un pacco postale.

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